Amore e Dannazione: Romanticismo nei Racconti di Mistero

Carissimi lettori del mistero, se ad ognuno di noi venisse chiesto cosa ne pensiamo delle storie d’amore ovviamente sappiamo che i nostri generi preferiti sono spesso sottovalutati. Come può l’horror o il mystery offrire travolgenti storie d’amore?

Quando si pensa all’aggettivo “romantico”, la mente corre spesso a cene a lume di candela, rose rosse e dichiarazioni d’amore sdolcinate. Ma se il romanticismo fosse qualcosa di più oscuro, più viscerale, persino macabro? E se la sua vera essenza risiedesse non nella perfezione idilliaca, ma nell’intensità di un legame che sfida ogni logica, ogni convenzione, persino la morte stessa? Questo è il romanticismo che permea le storie di mistero, folklore e leggende, dove l’amore si fonde con l’orrore, il desiderio con la dannazione eterna.

Nel vasto panorama della letteratura e del cinema, troviamo esempi lampanti di questo amore “alternativo”. Pensiamo all’ossessivo e tormentato Dracula di Bram Stoker, il cui amore millenario per Mina Murray trascende la vita stessa, trasformandosi in una sete primordiale che non conosce confini. Oppure, più recentemente, al delicato eppure potente legame tra una donna delle pulizie muta e una creatura anfibia nel capolavoro cinematografico La forma dell’acqua. Qui, l’amore è un linguaggio universale che va oltre le barriere della specie e della comunicazione verbale, un’accettazione totale dell’altro nella sua singolarità più profonda.

Non possiamo dimenticare poi l’archetipo dell’amore passionale e autodistruttivo di Cime Tempestose. Heathcliff e Catherine, anime gemelle legate da un destino inesorabile, incarnano un romanticismo così intenso da sfociare nella tragedia, nel dolore e nella follia. Il loro non è un amore confortevole, ma una forza primordiale che distrugge tutto ciò che incontra, lasciando dietro di sé un’eredità di spettri e rimpianti. Queste storie ci spingono a riflettere: il vero amore è forse quello che ci spinge ai nostri limiti, che ci fa confrontare con le nostre paure più recondite, che ci lega indissolubilmente all’altro anche quando è sbagliato o pericoloso?

Forse la definizione di romantico non è univoca, ma un vasto spettro che include anche le sfumature più cupe e inquietanti. È la forza che spinge all’estremo, che lega due anime in modi inimmaginabili, al di là di ogni convenzione sociale o morale. In questo senso anche i nostri generi preferiti possono coinvolgerci con incredibili storie romantiche.

Lettori dell’ignoto quale è, allora, la vostra definizione di romanticismo? È il focolare domestico o la bruciante fiamma di un amore proibito che consuma ogni cosa? Lascia un commento e condividi la tua visione!

Alice Tonini

2 risposte a “Amore e Dannazione: Romanticismo nei Racconti di Mistero”

  1. Avatar Massimiliano Pesenti

    Il Romanticismo è un movimento culturale nato alla fine del Settecento che esalta emozioni, natura e individualismo. Nelle opere mystery, viene rappresentato attraverso atmosfere cupe, paesaggi selvaggi e protagonisti tormentati, spesso in lotta con forze oscure o misteriose. L’irrazionale e il sovrannaturale giocano un ruolo centrale, riflettendo l’interesse romantico per l’ignoto e l’inquietudine interiore.

    Piace a 2 people

  2. Avatar sillydeliciouslyf76523c1d3
    sillydeliciouslyf76523c1d3

    Desiderio, affetto, legame. Ecco i termini dai quali si suppone derivi la parola latina “amor”. Già qui si evince che il romanticismo è un aggiunta “moderna” (naturalmente a mio parere). Desidero e legame sono parole forti appena addolcita dalla parola affetto. Ed effettivamente è quel che io penso sia AMORE.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Esplorare l’Anima Umana con Edgar Allan Poe

Se c’è una cosa che mi affascina più di ogni altra, è il modo in cui il mistero, il folklore e i luoghi leggendari si intrecciano nella trama della storia e della letteratura. Ogni strada acciottolata, ogni leggenda sussurrata al tramonto, nasconde un segreto pronto a essere svelato. In questo panorama di enigmi, c’è una figura che per me si erge come un faro nell’oscurità, qualcuno che ha saputo come pochi altri plasmare le ombre della psiche umana e riversarle su carta: Edgar Allan Poe.

Poe non è solo un nome da manuale di letteratura, per me è l’incarnazione del genio tormentato; un maestro nel creare atmosfere gotiche e racconti che ti si insinuano sotto la pelle. Le sue storie non sono semplici trame, ma veri e propri viaggi negli abissi della mente, dove la ragione vacilla e il soprannaturale si confonde con la follia. Ogni volta che rileggo “Il Corvo” o “Il Gatto Nero“, mi ritrovo catapultato in quei vicoli bui e nebbiosi che lui descriveva, luoghi che sembrano esistere solo nella sua immaginazione ma che, in fondo, rispecchiano le paure più recondite dell’animo umano. Non c’è da stupirsi se è considerato il padre del racconto del mistero!

Ciò che mi lega profondamente a Poe è la sua capacità di trasformare l’angoscia e il macabro in pura arte. Non solo anticipò il genere del racconto poliziesco, ma esplorò con una profondità unica i temi della morte, della perdita e della psicosi, attingendo spesso a un folklore oscuro e a un senso di oppressione quasi palpabile. Le sue ambientazioni, siano esse antiche magioni o criptici studi, diventano esse stesse personaggi, carichi di una storia e di un’aura leggendaria che affascina ancora oggi. E proprio come una antica foresta intrisa di leggende, le sue opere continuano a esercitare un fascino irresistibile, rivelando ogni volta nuove sfumature.

Poe, con la sua vita turbolenta e la sua ineguagliabile abilità narrativa, non è solo la mia figura storica preferita, ma un’eterna fonte di ispirazione. Mi ricorda che anche nell’ombra più oscura si può trovare la luce della creatività, e che il vero mistero, spesso, risiede proprio dentro di noi.

Mentre le sue storie e i suoi racconti continuano a echeggiare nei corridoi della migliore letteratura, Edgar Allan Poe resta per me un simbolo eterno di come l’arte possa trasformare il buio in capolavoro. Ogni sua parola è un invito a esplorare l’ignoto, a guardare oltre il velo della realtà e a chiederci: quali altri segreti si nascondono negli angoli più reconditi della nostra mente, e quali nuove leggende siamo pronti a scoprire.

Al prossimo articolo!

Alice Tonini

Una replica a “Esplorare l’Anima Umana con Edgar Allan Poe”

  1. Avatar wwayne

    Appena ho letto “poliziesco” mi è tornato in mente questo splendido libro: https://wwayne.wordpress.com/2020/10/03/amore-a-scoppio-ritardato/. L’hai letto?

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Letture Estive Oscure: Maggio, Avventure da Non Perdere

L’estate sta bussando alle nostre porte, portando con sé la promessa di relax e libertà. Ma per noi cultori del lato oscuro della letteratura, c’è un altra eccitante prospettiva all’orizzonte: immergervi in trame oscure e segreti inconfessabili. Mente il sole scalda la pelle lasciate che un buon mistero vi regali brividi da accapponare la pelle. La stagione è perfetta per perdersi tra indizi, colpi di scena e la risoluzione finale di un enigma che vi terrà svegli fino all’alba.

Ricordate la promessa del mese scorso? Queste settimane sono state un turbine creativo di scrittura e di editing, un lavoro nell’ ombra per nutrire la nostra passione comune. Ma non solo! Ho anche lanciato una esplorazione dell’ ignoto, un faro di parole per attrarre nuove menti curiose nel nostro universo letterario. Perché diciamocelo con forza: leggere è molto più di un passatempo: è la chiave per scardinare le prigioni del pensiero unico, è un viaggio senza confini tra le mille sfaccettature del reale (e dell’ immaginario) , è il riconoscimento prezioso di ogni singola unicità che ci rende straordinariamente umani.

Ho anche dato una bella spolverata in giro! 😉 Volevo ricordarvi che iscriversi al blog è un modo super comodo per non perdersi nemmeno un articolo e sbirciare contenuti pensati apposta per voi. Però, se la vostra casella fa le bizze con le mie notifiche o se i miei messaggi rimangono li a prender polvere, beh, forse i miei racconti e le mie riflessioni non fanno per voi. Non sono a caccia di folle oceaniche, sapete? Il mio desiderio è chiacchierare con voi, stimolare qualche pensiero interessante e, magari, lasciarvi con qualcosa di utile. Se i miei posti non vi dicono nulla, nessun problema, ci incontreremo in altre avventure. ☺️

Scovare quei preziosi istanti per dare vita alle storie… un’impresa non trovate? La quotidianità ci trascina in mille direzioni e le ore che ci restano sembrano evaporare nel nulla. Eppure in quei rari momenti di quiete interiore, quando la mente si affaccia all’ abisso delle idee, nascono parole cariche di un eco misteriosa. Ogni singola frase che troverete qui è un frammento di quel silenzioso dialogo con l’ignoto, un pensiero che ho voluto strappare all’ ombra per condividerlo con voi, compagni di viaggio nei sentieri inesplorati della mente.

Le lancette del nostro orologio letterario virtuale del mistero segnano un’altra pausa ma il tempo si sà che è un inganno. Mentre le ore scorrono, il prossimo enigma sta già prendendo forma, sussurrandovi promesse di nuove avventure nell’ ignoto. Il nostro viaggio non si conclude qui, anzi ci addentreremo sempre più nel cuore pulsante dei misteri della letteratura. Preparatevi perché presto una nuova storia farà capolino pronta a tenervi compagnia e forse a turbare i vostri sogni. A presto, anime curiose. ♥️

Alice Tonini

Una replica a “Letture Estive Oscure: Maggio, Avventure da Non Perdere”

  1. Avatar sillydeliciouslyf76523c1d3
    sillydeliciouslyf76523c1d3

    Bello! Adesso mi aspetto grandi cose fascinosissime!!!

    Piace a 2 people

Lascia un commento

La nascita della fantascienza: Gernsback e _Amazing Stories_

Benvenuto lettore dell’ignoto, uno dei tuoi generi preferiti è la fantascienza e oggi ho deciso di parlarti ancora delle prime riviste che agli inizi del secolo scorso si sono occupate di sci-fi e di come sono nate le prime fandom. Lo scorso articolo abbiamo visto Campbell e i suoi sforzi, stavolta parliamo di Gernsback e dei primi autori che sono diventati famosi anche grazie a lui.

 

Scientificazione? Fantascienza!

 

Prima del 1920 la fantascienza era senza una casa; alcune riviste e case editrici accoglievano solo occasionalmente racconti o romanzi del genere, e soprattutto era preferibile che la versione fosse il più economica possibile, meglio se la fiction era orientata all’avventura per riviste pulp come The Argosy che debuttò nel 1890. Ma il genere mancava di giornali specificatamente devoti al lato fantastico della scienza e degli alieni. Il cambiamento arrivò nel 1926 con la rivista made in US Amazing Stories, edita da Hugo Gernsback.

Un uomo con una considerevole capacità tecnica, fu notevole inventore (prese all’incirca 80 brevetti) ma con più modeste abilità di scrittore, Gernsback fu autore superficiale e di scarso valore che scrisse racconti, anche seriali, tra cui ricordiamo la storia Ralph 124c 41+ del 1911. Aveva una spiccata creatività e immaginazione, pensate che nei suoi libri troviamo dai fax ai fogli di alluminio, ma era chiamato anche Hugo the Rat per la sua cattiva propensione alla gestione del denaro al limite dell’onestà (o disonestà). 

 

Indovinate di che storia si tratta? 

Gernsback è conosciuto per essere un editore attento: le storie che pubblica in Amazing Stories le battezza Scientificazioni, ma possiamo considerarle in tutto e per tutto Science Fiction moderne, e si focalizzano in modo principale sui gadget e la tecnologia piuttosto che su propositi stilistici. Adatta le sue pubblicazioni ai suoi gusti personali ma inavvertitamente appende una croce attorno al collo del genere, croce che è presente ancora oggi. Le critiche che puntano ai bassi standard qualitativi della prosa letteraria della fantascienza rispetto ad altri generi di narrativa purtroppo hanno avuto vita facile.

Su Amazing Stories vengono riproposte storie di Verne, Wells e Poe, ma anche alcuni lavori che era meglio dimenticare. Ha proposto opere della prima età dello Sci-Fi, di maestri come Jack Williamson, Edmund Hamilton e E.E. “Doc” Smith, che è considerato il padre del sotto genere dello Sci-Fi conosciuto come Opere spaziali, ambientate nello spazio.

 

Chi di voi riesce a indovinare questa storia? 

 

Gernsback ha inluenzato la creazione delle fandom della fantascienza: una comunità di entusiasti che diffondono l’influenza del genere su tutti i media. Pubblicò lettere appassionate di fan sul suo giornale e incluse l’indirizzo degli stessi consentendo loro di contattarsi l’un l’altro individualmente e creare una community. Per questa iniziativa ricevette un premio Hugo dedicato ai suoi contributi alla creazione delle comunità di fan del genere.

Ora vediamo alcuni nomi di scrittori legati al mondo delle prime riviste e alle edizioni di Campbell e Hugo. A questi autori dobbiamo la promozione e la diffusione di alcuni dei più famosi sottogeneri fantascientifici tra cui:

Robert Heinlein che vendette la sua prima storia breve Life-Line a Campbell nel 1939 e che divenne in breve tempo il più rispettato e influente scrittore del genere con delle novelle che si aggiudicarono il premio Hugo tra cui citiamo Double Star, Starship Troopers, La luna è una severa maestra e del 1962 ricordiamo Straniero in terra Straniera.

 

E questa che storia è? È facile!

Isaac Asimov scrittore immensamente prolifico (scrisse o editò più di cinquecento libri di fiction e non fiction) e autore di Foundation serie di novelle del 1951 (ritenute tra le migliori mai scritte in fantascienza), pubblicate in Italia con il nome di Cronache della Galassia e Prima Fondazione. Mise mano anche alle novelle sui robot e alle storie brevi incluso Io, Robot. Nel 1941 Campbell incoraggiò Asimov a scrivere la sua storia breve più famosa Nightfall nella quale una civilta che vive in un sistema stellare con sei soli affronta la sua prima notte in 2000 anni (e lo fa poveramente). Il suo nome appare sulla copertina di molte riviste, la più famosa è forse Asimov’s Science Fiction.

A.E.van Voght, scrittore canadese che fece carriera con i Pulp Magazines scrivendo opere fuori dalla fantascienza prima di cambiare genere. Campbell acquistà la sua prima opera di fantascienza nel 1939 intitolata Black Destroyer, che racconta di una minaccia aliena che uccide i membri di una nave spaziale, suona familiare? Astrounding Stories serializza il lavoro più famoso di Vogt dal titolo di Slan che parla di una forma mutante superiore di umanità.

Altri autori che Campbell portò alla stampa furono Theodore Sturgeon, L. Sprague de Camp e L.Ron Hubbard (Campbell pubblicò i suoi primi articoli sulla dianetica, il regime di auto-aiuto che verrà utilizzato per fondare la chiesa di Scientology). Molti degli autori sopra citati trovarono spazio anche in Astrounding Stories che venne pubblicata, tra alti e bassi, per 98 anni. Poi scomparve dalla scena

Un’ultima curiosità. Durante la seconda guerra mondiale Astrounding Stories e il suo editore Campbell saranno indagati dall’FBI quando verrà pubblicato un racconto ovviamente di fantasia di Cleve Cartmill intitolato Deadline che parlava di una bomba nucleare. A volte la realtà supera la fantasia. Il racconto apparve per la prima volta nel 1944 mentre gli Stati Uniti stavano segretamente preparando la loro bomba con il progetto Manhattan. La storia racconta che Campbell ricevette la richiesta di smettere di stampare storie che parlavano di bombe atomiche. Lui rispose che se tali storie fossero scomparse dal suo giornale allora centinaia di fan della fantascienza avrebbero capito che la ricerca era avvenuta e che la bomba era stata creata e non era più fantascienza. Fu stabilito poi che l’autore non aveva ricevuto alcuna informazione interna e che non c’era alcun pericolo reale.

E con quest’ultima chicca anche per oggi vi devo salutare. Caro lettore dell’ignoto ti auguro buone vacanze e come sempre ti invito a leggere un buon libro. Alla prossima. 

Alice Tonini 

Classificazione: 0 su 5.

Scrivere una ambientazione horror: tra vecchi clichè e nuove mode che piacciono al pubblico

 Benvenuto lettore dell’ignoto, oggi per te c’è una sorpresa imperdibile: un articolo che parla del nostro genere preferito e delle ambientazioni che registi e scrittori prediligono quando devono costruire le loro storie.

Impostare l’ambientazione per l’horror è deliziosamente divertente ed evocativo, se ami il genere questo articolo ti darà soddisfazione.

 Oscurità e ambienti notturni sono locations ovvie usate fin dalle prime opere della tradizione gotica, in quei primi libri come Dracula (Bram Stocker, 1897) o film come Nosferatu (Murnau, 1922) o Il castello maledetto (Whale, 1932) è l’oscurità che rende la sensazione di mistero. Quello che il pubblico vuole conoscere è li, ma non lo vede, e questa ancora oggi rimane una delle tecniche più efficaci per creare spavento. Una stanza stretta e non illuminata causa le palpitazioni, così come gli spazi talmente affollati da impedire qualsiasi movimento, gli armadi dove trovare rifugio o tirarsi le coperte sopra la testa. Non faticherete a richiamare alla mente scene di libri o film con vecchie stanze buie con angoli pieni di ragnatele e castelli dagli alti soffitti, sono location tipiche per gli horror girati tra il 1930 e il 1940.

 

 

L’oscurità è un clichè ampiamente utilizzato ancora oggi ma non è l’unico elemento ambientale che può seminare incertezza, possiamo utilizzare anche grandi palazzi abbandonati, vuoti e deserti. Nessuno è mai riuscito a replicare con la stessa efficacia i  corridoi deserti e infiniti dell’Overlook Hotel che troviamo in The Shining (Stephen King, 1977 – Kubrick, 1980), e quei grandi, vecchi appartamenti dalle stanze vuote di cui fa grande utilizzo Polanski in Repulsion (Polanski, 1965) e Rosemary’s Baby (Polanski, 1968).

 E che dire delle strade nebbiose della vecchia città di Londra che sono il marchio di fabbrica di Werewolf of London (Walker, 1935). Le troviamo anche in Jack lo squartatore (Franco, 1976) e Sweeney Todd (Tim Burton, 2007), così come le colline nebbiose del nord dell’inghilterra fanno la loro spaventosa apparizione in An American Werewolf in London (John Landis, 1981). La nebbia è stata usata in ogni film del nostro Mario Bava: è facilmente identificabile come un altro dei clichè dell’horror ma non va mai sottovalutato il suo effetto sul pubblico, che siano lettori o spettatori. Tutti riusciamo ad immaginare il nostro punto di vista (ad esempio possiamo utilizzare Antonio) che cammina, in un cimitero avvolto dalla nebbia, facendo attenzione a dove mette i piedi, la forma degli oggetti attorno a lui è indefinita e può rimanere oscurata nella percezione dell’ambiente. Nei film è molto utilizzata la fotografia in bianco e nero perchè il regista può nascondere ogni cosa tra le sfumature dei grigi e le ombre nere e tenerla pronta per uscire in ogni momento ad aggredirci come in La notte del Demonio (Tourneur, 1957). Nebbia e vapore sono elementi così onnipresenti nelle opere che hanno libri e film a loro dedicati come The Fog (Carpenter, 1980) e The Mist (Stephen King, 1980 adattato a opera cinematografica da Darabont, 2007).

 

 

Un’altra ambientazione classica che adoro è quella della casa infestata, anche questa è adattabile all’infinito. Non c’è bisogno di essere ad Amitiville o in Elm Street per suscitare il terrore in un ambiente chiuso circondati da rumori sinistri. Io con il mio romanzo Il richiamo ho utilizzato una vecchia casa ma Ridley Scott la piazza nello spazio nel suo film Alien (Scott, 1979) creando un ambiente incredibile con l’aggiunta di tubi industriali, catene vibranti, e condotte con acqua gocciolante. Questa idea fu replicata in Event Horizon (Anderson, 1997), ma puo essere una postazione scientifica isolata tra i ghiacci dell’artico come in La cosa (Carpenter, 1982) o un piccolo rifugio tra le montagne come Quella casa nel bosco (Goddard, 2012), La casa (Raimi, 1981), Timber Falls (Giglio, 2007- inedito in italia) o Wrong Turn – Il bosco ha fame (Schmidt, 2003).

L’oscurità rappresenta l’infinito così come le foreste che si perdono a vista d’occhio. Libri o film ambientati in lussureggianti foreste tropicali o in oscuri boschi dove i personaggi sono isolati dal resto del mondo. Foglie verdi, rami secchi, terra e fango a prima vista sembrano sempre gli stessi elementi universali che richiamano la forza terribile della natura, ma forse è proprio per questa sensazione di innocente devastazione che ci sono così tante opere dove ragazze infilate in t-shirt aderenti fuggono dal cattivo correndo attraverso un bosco. The Blair Witch Project (Myrick e Sanchez, 1999) fa un uso superbo di questo senso di foresta infinita nel nulla, di disperazione e solitudine.

 

 

La stessa cosa possiamo dire per la gelida neve che trasmette la sensazione di desolazione. E’ incontaminata e pulita ma può anche accecare durante una tempesta. Nei film è poco utilizzata per via dei costi, ma può essere un buon elemento da inserire per separare i protagonisti tra loro o dalla società civilizzata. Un esempio può essere Misery (Stephen King, 1987 – Reiner, 1990), The Shining (Stephen King, 1977 – Kubrick, 1980) e il più recente Dead Snow (Wirkola, 2009), La cosa (Van Hejiningen Jr., 2011) e Let the ring one in (Alfredson, 2008), riproposto negli US come Let me in (Reeves, 2010).

Il deserto selvaggio e spietato funziona altrettanto bene, abbiamo Wolf Creek (McLean, 2005) e Le colline hanno gli occhi (Aja, 2006). Possiamo anche abbandonare la terra con i suoi climi estremi e ambientare le vostre opere negli oceani infiniti. L’effetto sarà lo stesso. Chi di voi non ha mai visto Lo squalo (Spielberg, 1976) le cui riprese presero un sacco di tempo perchè l’acqua modificava di continuo il colore della pellicola, ma possiamo citare un sacco di film (più o meno riusciti) girati interamente al mare dalla metà degli anni duemila, incluso Open Water (Kentis, 2003), e Triangle (Smith, 2009). 

Il mare nei libri è spesso elemento destabilizzante o portatore di caos, vedi Hodgson apprezzato autore horror con addirittura tre raccolte di racconti ambientati al mare: Terrore dagli abissi/ Acque profonde/ I demoni del mare (W.H.Hodgson, 2015 2018 2022).

 

 

Non abbiamo ancora finito. Fino a ora non abbiamo menzionato le grandi città, le metropoli. L’infinita giungla umana che viene compressa e relegata nelle più abbiette zone industriali abbandonate. L’urban horror le sfrutta da tempo immemorabile, e allora supntano i luoghi alienanti e i quartieri pericolosi dove fare incontri inaspettati. Distretto 13 – Le brigate della morte (Carpenter, 1976) ridefinisce gli spazi comuni urbani abbandonati e li rende un ottimo materiale per un urban horror. Un altro film interessante è Candyman (Bernard Rose, 1992) che mescola centro e periferia di una grande città; la sfida dell’urban è stata raccolta dall’horror europeo con La Horde (Dahan e Rocher, 2009), Outcast (Mc Carthy, 2010) e Attack the Block (Cornish, 2011). Nei romanzi le grandi città sono presenti in ogni opera ma vi cito L’ombra dello scorpione (Stephen King, 1994) perchè la visione post-apocalittica del maestro delle città grandi e piccole è davvero interessante. Poi può capitare che il nostro protagonista lasci la grande città per raggiungere la casa in campagna, e allora c’è Black Sheep (Stephen King, 2006), Isolation (O’Brien, 2006) e Calvaire (Du Weiz, 2004), tutte opere che si nutrono o nascono dalla solitudine, dall’isolamento e dal sesso.

Di sicuro sarete d’accordo con me quando dico o che lo stato nel genere horror ruota attorno all’immorale, alla sporcizia e all’incapacità dell’uomo di vedere cosa si nasconde davanti a lui. A volte sembra che registi e scrittori diventino saggi in ritardo, le nuove tecnologie digitali arrivano tardi a illuminare le opere, spesso viene sottovalutata la loro capacità di rendere il grottesco e il sanguinolento il più sporco possibile, e non parlo solo di film come Hostel (Roth, 2005) e Saw (Wan, 2004)  ma anche anche nelle trame dei libri. Comunque se vogliamo approfondire l’aspetto legato agli effetti speciali nei film si è diffuso l’utilizzo dei fogli di plastica dalle qualità opacizzanti per coprire i peccati dei personaggi, un buon esempio può essere H6: Diario di un assassino (Barón, 2005) o La casa della peste (Radclyffe, 2008). Entrambe le pellicole utilizzano fogli di plastica appesi nelle stanze per creare ombre indefinite e l’effetto di straniamento. Allo stesso modo le tende di palstica che circondano i letti d’ospedale possono nascondere molti peccati come nella già citata saga di Saw o Planet Terror (Rodriguez, 2007) e naturalmente non posso non citare le tende della doccia del progenitore del nostro genere preferito Psycho (Hitchcock, 1960).

 

Noi scrittori possiamo fare molto, dobbiamo aiutare il pubblico a immergersi nelle storie. Quando abbiamo l’opportunità di descrivere un luogo o di creare una ambientazione, una carneficina o di descrivere i sussurri pericolosi del soprannaturale, l’effetto che dobbiamo usare, i dettagli che dobbiamo inserire devono essere i migliori. Essere in grado di preparare una scena e renderla istantaneamente fonte di disagio è vitale sin dalle prime pagine.

Una volta impostato l’ambiente l’arco di trasformazione del personaggio procede più o meno cosi:

Qualcuno è messo in difficoltà da qualcosa di sconosciuto. Ovviamente prima di poterlo affrontare direttamente deve capire che si tratta di “qualcosa di sconosciuto”. Poi deve capire come la cosa sconosciuta opera e fare dei tentativi per sconfiggerla. Prima tenterà di sconfiggere il “qualcosa di sconosciuto” con i mezzi a disposizione, ma questo non sarà abbastanza perchè in questo modo non si potrà affrontare. Per scoprire cosa può sconfiggere il “qualcosa che non è più sconosciuto” il nostro protagonista deve avventurarsi nei territori dove l’inconoscibile è di casa. Se riuscirà ad apprendere e ad agire come agisce lo sconosciuto allora avrà una possibilità di vittoria, altrimenti verrà sconfitto. Il “qualcosa” poi cercherà un altra vittime.

Ok, si tratta di una semplificazione estrema ma serve per farvi capire il ruolo dell’inconoscibile nell’horror. Lo sconosciuto è il cuore dell’horror e questo è quello che  guida i personaggi nella molteplicità e nella pazzia, nella psicopatologia di un serial killer o nella forza mostruosa di un demone, nella follia di un tormento paranormale e tra gli artigli dell’oscurità. L’horror è un genere che per essere apprezzato (se è la parola giusta) vuole un pubblico aperto all’improbabile, all’impossibile e al fantastico. È un genere popolare tra i giovani assieme al fantasy e alla fantascienza ma non è solo per loro.

 

 

Questo perchè l’adolescenza è particolarmente influenzabile, non è ancora pienamente matura, non ha stabilito una routine di lavoro e vive in un movimento costante tra il restare a casa e andarsene per la propria strada. I giovani hanno ancora a disposizione la fantasia dei bambini, dove ogni storia può essere vera, ma lo stato gioioso ora si scontra con i limiti morali e tangibili della vita. Cercano di capire loro stessi come entità separata dalla famiglia e di stabilire un ruolo tra il gruppo dei pari. Ai giovani non importa nulla dei mostri spaventosi che possono prenderli.

Hanno anche una relazione diversa con la morte. C’è la possibilità che non abbiano mai perso una persona cara, un amico o un partner, oppure che non abbiano mai assistito ad una vera scena scioccante come un incidente d’auto o un incendio. In questa fase sono protetti dal mondo del dolore e del terrore, dalla paura e dalla rabbia. Per quelli che hanno avuto questo genere di esperienze sono cose di cui sperano di liberarsi presto. L’agonia di una malattia che si protrae nel tempo o la frustrazione fisica e mentale del declino che l’età richiede a tutti noi sono davvero molto dolorose, troppo reali per un horror, e rimangono materiale per i film mainstream o satirici della settimana e per le sere davanti alla tv. 

 

 

 

I giovani sono invincibili. Forse è per questo motivo che nei film e nei libri li vediamo provare a bere, fumare spinelli e correre rischi non necessari. Lo sanno meglio di tutti. La morte per loro non arriverà presto, e se dovesse presentarsi alla porta ci sarà uno scontro interessante. I corpi giovani sono forti e sopportano le privazioni, le intossicazioni e le punizioni fisiche. Non è per loro la vergogna del recupero, il desiderio bruciante di riprendersi e riempirsi lo stomaco di brodo caldo, vitamine, vino e cioccolata. Possono anche guardare la morte in faccia e riderci su, questo forse è il motivo per cui Final Destination (Wong, 2000 ) è una serie di film di successo, divertenti e deliziosi. I ragazzi guardano Victor Crowley tagliare un uomo a metà o Leatherface smembrare la sua ultima vittima e non provano nulla. Non è sociopatia (non tutti i giovani sono sociopatici) ma la loro parziale esperienza della vita li rende meno influenzabili dagli elementi horror. Le reazioni ad una scena di evisceramento possono essere molto diverse dall’horror rispetto a quando si guarda una operazione chirurgica in una soap opera in tv. L’horror mette in gioco l’empatia e la repulsione, ogni elemento concorre a quello scopo in opere come Cannibal Holocaust ( Deodato, 1980), Martyrs (Laugier, 2008) oppure alla riduzione di ogni cosa all’assurdo come in The Human Centipede (Six, 2009).

La credenza che ogni azione di un teenager resti impunita è il cuore di molti scherzi e goliardate ed è un buon elemento degli Slasher. Non solo è emozionante vedere il serial killer in azione ma ci divertiamo a seguire il gruppetto di teenager che si comporta in modo irresponsabile e li condanniamo: “Io non farei mai uno scherzo del genere nella vasca della doccia.” pensa lo spettatore a mente fredda nei cinema. Si tratta di un modo facile per arrivare al cuore della vicenda, la nostra brava ragazza che fugge dall’assassino e gli stupidi del gruppo che vengono decimati. Tutto molto prevedibile, no? Gioiamo quando questi personaggi inetti sono decapitati, mutilati, castrati o feriti e distrutti, condannati come maschi alpha a regredire come uomini di Neanderthal e ci sentiamo appagati dal nostro senso di conoscenza superiore e di proprietà. Questa è la catarsi negli horror. Vediamo lo scherzo e ci preoccupiamo per l’agnello sacrificale. Se la scena è fatta bene il pubblico sente un antagonismo tangibile verso il bullo fastidioso e la sua dipartita sarà accompagnata da un sospiro di sollievo.

 

 

 

Però abbiamo detto anche che l’horror non è interamente nelle mani dei giovani. Molti film hanno sbancato il botteghino come Paranormal Activity (Peli, 2007) The Blair Witch Project (Sanchez, 1999) Il sesto senso (Shyamalan, 1999 ) The Omen (Donner, 1976) e L’esorcista (Friedkin, 1973). Questi horror sono psicologicamete e intellettualmente profondi, ci pongono domande sulla nostra esistenza, sulla realtà e sul subconscio delle cose. Dipingono gli adulti in ruoli di leadership piuttosto che i teenagers, un modo per incoraggiare anche chi ha qualche anno in più a guardarli. 

L’horror piace al pubblico e piace agli attori e alle case de produzione. A volte il film è pubblicizzato come l’opera di Jodie Foster o con la partecipazione di Julianne Moore per attirare l’attenzione. Evan Mac Gregor può essere citato con Adrian Brody, Melissa George e Sarah Michelle Gellar e hanno ricoperto molti ruoli importanti. Bruce Willis dopo un solido inizio negli action movie in Tv, è apparso in modo costante in progetti interessanti incluso il Sesto Senso ( Shyamalan, 1999 ) e Twelve Monkeys (Gilliam, 1995). Comunque gli attori molto famosi (vedi Jack Nicholson in Wolf (Nichols, 1994)) o Sir Anthony Hopkins in The Rite (Hafstrom, 2011)  tendono a sbilanciare la storia e possono arrivare a togliere ogni credibilità (vedi Nicholas Cage con il suo film apocalittico, o con qualsiasi altro film…). Come una sitcom, l’horror deve creare le proprie stelle. 

 

 

Ci sono legioni di attori che iniziano la carriera nell’horror. Nessuna vergogna per mr Clooney a recitare in pellicole come Attack of the killer Tomatoes (De Bello, 1978), o nell’essere il primo ragazzo che muore in Nightmare on Elm Street (Craven, 1984) per il nostro Johnny Depp. Alcuni restano fedeli al genere per gran parte della loro carriera (Robert Englund, Christopher Lee) altri continuano ad accettare parti negli horror quando trovano opere che gradiscono (Donald and Keifer Sutherland). Purtroppo non stà agli sceneggiatori dettare le regole del gioco quando arrivano personaggi famosi nel casting. Se hai venduto il tuo manoscritto ed è stato coinvolto un grande nome uno sceneggiatore può festeggiare ed essere triste allo stesso modo perchè è sicuro che dovrà riscrivere buona parte della sua opera per adattarla alle richieste del grande attore. Ma questa è un altra storia.

E anche per oggi abbiamo terminato. Caro lettore dell’ignoto spero di non averti annoiato a morte con il mio fiume di parole ma l’horror per me è estremamente evocativo. Ti auguro una buona lettura e alla prossima!

Alice Tonini 

 

Classificazione: 0 su 5.