Lettori amanti dell’ignoto, aggrappatevi con forza al precario equilibrio della nostra nave. L’oscurità liquida ci avvolge, onde spettrali percuotono il legno con gemiti sordi, scuotendo la nostra fragile dimora sull’acqua in un’altalena sinistra. La vela silente pende inerte, mentre un vento gelido ulula litanie tra le sartie, spruzzando il nostro volto di un’umida essenza marina. Poi, un sussulto brutale, uno stridio agghiacciante, e la nostra prigione galleggiante si incaglia con un tonfo su una riva di sabbia che brilla di una luce innaturale. Avvolti nei nostri mantelli come in sudari, ci gettiamo nel silenzio denso, correndo a piedi nudi sulla sabbia che attutisce ogni suono. La nebbia, un sudario opaco, cela forme indistinte, sagome di dimore che appaiono e scompaiono come spettri. Senza esitazione, cerchiamo rifugio sotto le fronde di un albero che incombe, ignorando la sensazione di occhi invisibili che ci osservano nel buio. Ci guardiamo tra noi con sguardo smarrito. «Dove siamo?» Una donna avvolta in un mantello blu appare dalla nebbia. «Benvenuti ad Atlantide.»
L’eco di un’antica civiltà perduta, un’isola avvolta nel mito, risuona inquietante attraverso le ere, un’ombra romantica che infesta l’inconscio di molte culture. Si narra di una fioritura prodigiosa, un’esistenza idilliaca spezzata di netto dall’abbraccio insondabile dell’oceano. Sussurri ancestrali parlano di una terra intessuta di incantesimi e arcane dottrine, un isola i cui segreti esoterici giacciono ora inabissati, irrecuperabili. I suoi abitanti, un tempo baciati dalla fortuna, si dice fossero custodi di ricchezze inimmaginabili, di un potere arcano, di una saggezza che trascendeva la comprensione mortale, e di una felicità perfetta, in simbiosi inquietante con le forze primordiali. Il loro unico desiderio, una preghiera sussurrata al vento e alle onde, era di preservare quell’effimero paradiso, ignari delle oscure correnti che già serpeggiavano sotto la superficie del mare.
Ah, il sogno rincorso nei secoli di un’isola incantata, un rifugio dove la magia della natura danza senza la necessità di ingombranti marchingegni tecnologici, un luogo di eterna quiete… non è forse il custode dei nostri sogni più audaci e delle nostre fantasie più sfrenate? Questa leggenda si veste di nuovi nomi ad ogni sussurro del tempo: Shangri-La, Bali-hai, Brigadoon… ognuna di queste terre apre una finestra letteraria su quell’antico desiderio di pura gioia. In fondo, è un mito amico, un po’ dispettoso forse, che ci invita a curiosare tra le pieghe dei nostri limiti, a soppesare le nostre forze e debolezze di fronte a un’immagine di perfezione che, chissà, potrebbe non essere poi così irraggiungibile.

Questa storia di un’isola magica è davvero affascinante! Spunta da ogni angolo del mondo, dall’Atlantico al Pacifico, sussurrata tra le onde dell’Egeo e le misteriose correnti del Mar dei Sargassi… quasi ti fa venire il sospetto che un luogo del genere, o magari più d’uno, sia davvero esistito. Un paese avvolto in un’aura speciale, una civiltà svanita all’improvviso, lasciando dietro di sé non solo un vuoto, ma anche quel ricordo un po’ strano, quella sensazione di un posto meraviglioso e incantato che aleggia ancora nell’aria.
Un frammento di questa antica credenza serpeggia tra le pagine di un papiro egizio, gelosamente custodito a Leningrado. Narra la storia di un viaggiatore sfortunato, il cui cammino verso le miniere del faraone fu interrotto dalla furia del mare. Si ritrovò esule su una riva ignota, lambita da acque silenziose. Lì, una visione abbagliante lo attese: un drago dalle squame d’oro zecchino, la cui voce risuonò con un eco primordiale: «Questa è la dimora degli uomini beati, dove ogni anelito del cuore si materializza». La promessa di salvezza, di un ritorno al suo mondo, gli fu sussurrata come una dolce illusione. Ma l’ombra del drago si allungò sulle sue speranze con una rivelazione inquietante: quell’isola, scrigno di felicità, era votata all’oblio, destinata a sprofondare negli abissi marini, per non essere mai più rivista da occhi umani.
Un centinaio d’anni dopo, sempre lì in Egitto, circola un’altra storia affascinante, quella di Atlantide, raccontata dal saggio Platone. Verso il 335 avanti Cristo, egli mise nero su bianco una chiacchierata tra amici, Socrate, Crizia e Timeo. Lì si parlava di questo regno di Atlantide, a quei tempi sparito già da un pezzo. Solo che… c’è un piccolo dettaglio un po’ strano. Il protagonista di questo racconto non è uno qualsiasi, ma Solone, un antenato di Crizia, un tipo leggendario che era stato in Egitto più di un secolo prima. Quindi, è come ascoltare un’eco lontana, una storia raccontata da qualcuno che l’ha sentita in prima persona una testimonianza che ti fa venire la pelle d’oca, non trovi?

Immagina la scena: il saggio Solone chiacchiera amabilmente con i sacerdoti di Sais, una città antichissima sulle rive del Nilo. La conversazione scivola indietro nel tempo, ma ecco che i sacerdoti, con un sorriso un po’ enigmatico, prendono in giro Solone! Pare che la sua conoscenza della storia greca fosse un po’ lacunosa ai loro occhi. Loro, invece, con un velo di mistero nella voce, gli raccontano di una storia di Sais che affondava le radici in un passato lontanissimo, ben ottomila anni! E poi, la parte più intrigante: quei vecchi manoscritti di Sais conservavano il ricordo di una guerra remota, una battaglia tra gli antichi ateniesi e una civiltà potente che dimorava su un’isola nell’immensità dell’Atlantico.
«C’erano altre isole vicino a questa, » dicono i sacerdoti, «e al di la, oltre l’oceano, un grande continente. Questa isola, chiamata Poseidone o Atlantide, era governata da re, i quali, regnavano anche sulle terre vicine e possedevano la Libia, e alcune isole del mar Tirreno. Quando l’Europa fu invasa dalle armate di Atlantide, il coraggio di Atene, che era a capo della coalizione greca , salva la Grecia dal giogo degli invasori. Questi eventi precedettero di poco una terrificante catastrofe, un potente terremoto scosse la terra e violente pioggie incessanti la allagarono. Le truppe greche morirono, e Atlantide fu inghiottita dalle acque dell’ oceano.»
Questo è il passo tratto da Timeo, ma è nel ‘Crizia‘ che il velo si fa ancora più sottile, rivelando dettagli che agghiacciano l’anima. Si sussurra di un cataclisma, avvenuto ben 9600 anni prima che Platone narrasse la sua storia, che inghiottì Atlantide negli abissi. La descrizione di quel regno è un canto ammaliatore e sinistro: terre fertili che ora giacciono sotto onde oscure, foreste di alberi dalle forme aliene che ondeggiano nel silenzio del mare profondo, miniere sigillate per sempre, custodi di metalli e gemme scintillanti. E poi un metallo misterioso, descritto con un’ammirazione quasi sacrilega, lucente come oro ma intriso di proprietà arcane, che ora dorme disperso per sempre negli abissi, un ricordo inquietante di una magia perduta.
L’occultista inglese Anthony Roberts, nel suo inquietante saggio I giganti della terra, evoca passaggi da antichi testi, ombre che danzano su una verità proibita. Egli insinua che gli atlantidei, lungi dall’essere i saggi sovrani di un’utopia perduta, si abbandonarono a pratiche nefaste, cadendo in una spirale di magia nera così potente da condurli alla rovina. «E così furono distrutti dalla loro obbedienza ai poteri oscuri dello spirito del male», ammonisce Roberts, le cui parole risuonano come un presagio. Per lui, la leggenda di Atlantide non è un mero racconto per bambini, ma l’eco distante di una civiltà che realmente prosperò in un’era remota che precede di millenni la nascita di Cristo. Ma qui il velo si fa più fitto, il mistero più denso. «Quel che realmente fu non ha niente a che vedere con quello che gli studiosi classici intendono o capiscono.» Le loro ricostruzioni, Roberts suggerisce con un tono carico di sottintesi, sono solo deboli e tremolanti riflessi di una grandezza oscura e inimmaginabile. Cosa celavano realmente le immense città di Atlantide? Quali segreti giacciono sul fondo del mare protetti da abissi insondabili? La verità, secondo Roberts, è molto più inquietante di quanto osiamo immaginare.

Quasi tutti coloro che hanno osato interrogare l’enigma di Atlantide – da Platone fino agli oltre duemila volumi odierni che tentano di strappare il velo al suo ricordo – hanno affrontato l’incertezza: il racconto del filosofo greco era una finestra su un’era perduta, o solo un miraggio della mente? Figure avvolte nella penombra della storia, come Giamblico, Porfirio e Origine, si sono avvicinate al mistero, offrendo interpretazioni che, pur divergenti, sembrano convergere su un punto inquietante: un nucleo di verità sommersa giace sotto la superficie del mito. Ma poi, il confine si fa sfocato, le acque si intorbidano. Coloro che giunsero in epoche successive, parlarono attingendo solo ai labirinti della propria immaginazione, o scrutando riflessi distorti nello specchio dei desideri umani e delle leggende sedimentate come oscure alghe su una storia già di per sé ammaliante? Cosa si cela realmente dietro il fascino persistente di Atlantide? Forse, la verità è un’ombra sfuggente proveniente da profondità insondabili, che si beffa di ogni tentativo di essere afferrata.
Il problema serpeggia nell’ombra della stessa reputazione di Platone. La sua mente feconda diede alla luce verità cristalline e chimere effimere, intrecciandole con tale maestria da rendere labile il confine tra realtà e finzione. Non è forse inquietante immaginare che un intelletto così potente abbia potuto tessere una favola allegorica, un inganno elegante celato sotto la veste di un racconto antico? Forse, il nucleo originario della storia di Atlantide, intriso di verità dimenticate, fu plasmato dalle sue mani come cera fredda, modellato per servire una sua visione, un suo σκοπός oscuro. E se fosse così, quali verità inquietanti potrebbero celarsi dietro le modifiche del filosofo?
L.Sprague de Camp, nel suo libro Continenti perduti: Il tema di Atlantide nella storia, tra scienza e letteratura, arriva alla conclusione che: «Platone ha scritto si una storia affascinante, che ha avuto una grande e durevole influenza nella letteratura e nel pensiero occidentali, ma che ha poco a che spartire con la geologia, l’antropologia o la storia, delle quali sapeva poco o nulla.»
Per quasi un millennio, un lungo sonno avvolse la leggenda di Atlantide, quasi fosse un segreto sussurrato e poi dimenticato con il fruscio delle pagine del tempo. Ma poi, come un’antica eco che risuona inaspettatamente, il suo nome tornò a farsi strada, con una forza sorprendente, dopo la scoperta di nuove terre oltre l’oceano. Immagina, l’enigmatico John Dee, astrologo della potente regina Elisabetta I, un uomo che scrutava le stelle in cerca di risposte nascoste. Con un gesto audace che sfidava la logica e persino le parole di Platone, osò tracciare Atlantide là dove le mappe indicavano il Nuovo Mondo! Che visione misteriosa lo guidava? Quale segreto percepiva oltre l’orizzonte conosciuto? E non fu il solo a rimanere affascinato. Anche un pensatore del calibro di Francesco Bacone si immerse in queste speculazioni nascenti. Cosa avrà stuzzicato la sua mente brillante? Quali nuove domande si affacciavano sull’antica storia, ora che il mondo sembrava essere molto più vasto e pieno di possibilità di quanto si fosse mai immaginato? È come se la scoperta dell’America avesse riaperto un antico libro di misteri, invitando nuove generazioni a leggerne le righe nascoste. Non trovi anche tu che sia un risvolto davvero affascinante?
Tra i più appassionati cultori moderni della leggenda annoveriamo il deputato americano Ignatius Donnelly (1831-1901) che scrisse Atlantide: il mondo antidiluviano, un testo fortunatissimo che annovera più di cinquanta ristampe; Paul Schliemann, il nipote del leggendario archeologo, che si vantava di possedere oggetti provenienti da Atlantide ma non li mostrò mai a nessuno; James Curchward che scrisse non solo di Atlantide ma anche di altre due civiltà scomparse, Lemuria e Mu; Madame Helena Blavatsky che sostenne di avere esaminato, in una delle sue famose trance, un documento manoscritto su foglie di palma, proveniente da Atlantide; e infine, il filosofo esoterico Rudolf Steiner, che spiegò come gli abitanti di Atlantide avessero posseduto sia il potere magico delle parole, sia la forza vitale che permetteva loro di realizzare qualunque cosa.

Scrutando tra le pagine ingiallite del volume Continenti perduti di de Camp, si cela una verità tanto meticolosa quanto inquietante. In una delle sue appendici, come in un catalogo di un sapere proibito, vengono elencati ben 215 nomi. Duecentoquindici menti che, nel corso dei secoli, hanno fissato il vuoto lasciato da Atlantide, tentando di riempirlo con le proprie teorie. Accanto a ciascun nome, una data, un riferimento ad un’epoca in cui l’enigma tormentava la coscienza umana. Ma è proprio questa precisione a incutere un brivido. Cosa ha spinto de Camp a compilare un simile elenco, quasi un necrologio di speranze perdute? E cosa si cela dietro questa moltitudine di interpretazioni, questa febbrile ricerca di un’isola fantasma? Non è forse inquietante pensare a così tante menti, attraverso i secoli, sono state attratte da questo abisso di mistero, ognuna convinta di averne carpito il segreto, indicando un punto diverso sulla mappa del mondo? Sembra quasi che Atlantide non sia solo un luogo perduto, ma un’ossessione contagiosa, un fantasma che infesta la mente di chiunque osi avvicinarsi troppo al suo ricordo.
«Forse», suggerisce de Camp, «l’improbabilità di Atlantide è la ragione stessa del suo fascino. È una forma di escapismo; la vaghezza della leggenda permette al commentatore di giocare con le supposizioni come un bimbo gioca con il Lego.»
Le ipotesi che oggi serpeggiano attorno al destino di Atlantide sembrano danzare attorno alle parole di Platone. La sua lapidaria affermazione di una catastrofe avvenuta diecimila anni prima della sua venuta al mondo viene liquidata come un “malinteso”, un “errore di trascrizione”. Gli studiosi contemporanei, con una sicurezza che a tratti inquieta, suggeriscono una data ben più vicina, un’eco di soli milleduecento anni che li separa dal grande filosofo. Ma in questo tentativo di razionalizzare l’abisso temporale, non si cela forse un mistero ancora più profondo? Un’ombra di anacronismo sembra effettivamente allungarsi sui diecimila anni di Platone: le nazioni più antiche d’Europa, Grecia inclusa, non riescono a dipanare la trama della loro storia oltre un orizzonte di tremilacinquecento anni. Perfino le memorie incise nella pietra degli egizi e dei sumeri, se si ignorano gli enigmatici annali dei sacerdoti di Sais, si perdono in un passato di poco più di cinquemila anni. Allora, da dove emerge questa cifra vertiginosa, questi diecimila anni che sfidano la cronologia conosciuta? È forse un indizio di un’antichità ancora più remota, un’eco di civiltà dimenticate che precedono persino le prime luci della storia che conosciamo? O Platone, depositario di segreti ancora più antichi, ci ha lasciato un enigma temporale la cui vera portata ci sfugge ancora? Questa discrepanza, lungi dall’essere un semplice errore, potrebbe celare la chiave per svelare misteri ancora più oscuri sulle origini di Atlantide e sul suo vero posto nel flusso del tempo.

Amici lettori, mentre ci congediamo per ora, lasciate che un brivido di mistero vi accarezzi la mente. Questo che avete letto è solo il primo sguardo nell’abisso del mito di Atlantide. Abbiamo sondato le incerte profondità del tempo, cercando di ancorare questa leggendaria civiltà in un’epoca precisa. Ma ora, una nuova domanda emerge dalle nebbie del passato, un interrogativo che ci spinge ancora più nel cuore dell’enigma: il luogo. Dove giacevano le sue magnifiche coste? Quali segreti custodiscono gli abissi che un tempo la videro prosperare? Il nostro viaggio, cari esploratori dell’ignoto, è tutt’altro che concluso. Non temete, insieme ci immergeremo ancora più a fondo, scrutando le mappe antiche e le speculazioni moderne per tentare di localizzare quel paradiso perduto, quel regno sommerso che continua ad affascinare e inquietare la nostra immaginazione. Rimanete con noi, perché il mistero di dove Atlantide si celasse è un’avventura che non vediamo l’ora di condividere con voi. E chissà quali oscure meraviglie attendono di essere rivelate?
Alice Tonini
2 risposte a “Riscoprire Atlantide: Tra Mito e Verità #1”
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Bellissimo viaggio alla ricerca della verità su Atlantide. Io rimango convinta si trattasse di astronavi e uomini venuti dallo spazio. Vedremo cosa dice il tuo prossimo articolo. Ciao! Brava!
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[…] ripartiti con la sensazione di aver toccato, anche solo per un minuto, la magia delle leggende. Riscoprire Atlantide: Tra Mito e Verità #1, Civiltà Scomparse: Il Fascino di […]
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