Charlotte Brontë e il Gotico di Jane Eyre

Cari lettori del mistero, oggi vi propongo un invito alla lettura. Ma facciamo un viaggio indietro nel tempo.

Nel 1847, fece la sua comparsa un romanzo che avrebbe scosso la letteratura e il costume dell’epoca, presentandosi con un travestimento perfetto per un secolo ossessionato dai segreti: Jane Eyre. La prima edizione si spacciava per un’autobiografia, “curata da Currer Bell.”

Dopo il suo immediato successo, Bell rivendicò l’autorialità e, in una prefazione beffarda, ringraziò i lettori per aver apprezzato questa «storia semplice con poche pretese». Ci volle ancora del tempo prima che l’identità precisa dell’autrice, e il suo vero genere, divenissero di pubblico dominio, aggiungendo un primo strato di mistero al testo stesso.

La definizione di “storia semplice” suona strana alle nostre orecchie moderne, avvezze al brivido. Al contrario, noi troviamo questo romanzo saturo di passione bruciante, di coincidenze mistiche e di un melodramma che affonda le radici nel gotico più profondo. Il nome di “Jane Eyre,” o di “Mr. Rochester” e, soprattutto, “la donna pazza in soffitta,” risuonano con forza anche in chi non ha mai aperto il libro. Sono diventati leggende della narrativa.

L’architettura della trama suggerisce inizialmente una classica storia alla Cenerentola: una giovane donna, appena uscita da un rigido collegio, accetta un posto a Thornfield Hall come governante di Adèle, la protetta francese dell’enigmatico Mr. Rochester, lui stesso un padrone misterioso raramente in casa.

La vita lì, in compagnia della premurosa governante, la signora Fairfax, è inizialmente blandamente piacevole. Ma l’aria di Thornfield è densa di presagi. Ben presto, i peli sulla nuca del lettore si rizzano scoprendo che la magione nasconde un misterioso terzo piano con due file di piccole porte nere, tutte sigillate.

Questo corridoio, descritto come un lugubre “castello di Barbablù,” cela un segreto vivo. Di tanto in tanto, un’inquietante “cachinnazione,” una risata curiosa e agghiacciante, si può udire. È il primo indizio che a Thornfield Hall la realtà e la magia nera sono intrecciate in un nodo che presto si rivelerà fatale. Chi è questa figura imprigionata? E quale potere oscuro lega il destino della risoluta Jane Eyre a quello del tenebroso Mr. Rochester? Il mistero è appena iniziato.

Ed ecco che sulla scena entra Mr. Rochester: un uomo dalla figura imponente, dal volto scuro, austero e strano, con un portamento decisamente mascolino e pieno di vigore. A dispetto delle barriere sociali, di una differenza di età di vent’anni e della presenza di una promessa sposa, Blanche Ingram, noi lettori sentiamo immediatamente che questi ostacoli si riveleranno fragili come carta velina. Sappiamo che il “vissero per sempre felici e contenti” è dietro l’angolo.

L’unione che tutti attendiamo, tuttavia, non può avvenire prima che le oscure porte del Castello di Barbablù rivelino il loro segreto e prima che la nostra eroina abbia affrontato la sua parte di avventurosa miseria.

Sì, Jane Eyre è una lettura potente, di quelle che non ti lasciano scampo. William Makepeace Thackeray, il romanziere preminente dell’epoca, mise da parte ogni altro impegno per dedicare un’intera giornata al libro (e sbalordì i suoi servi che lo trovarono in lacrime su alcuni passaggi d’amore).

In modo simile, Virginia Woolf, pur non essendo completamente ammiratrice, ammette: «La scrittrice ci prende per mano, ci costringe lungo la sua strada, ci fa vedere ciò che lei vede». Questa è la vera magia narrativa di Charlotte Brontë: la capacità di ipnotizzare il lettore, costringendolo a credere all’impossibile.

La trama avvince, ma è il carattere di Jane a essere ancora più affascinante.Il romanzo si apre sulla sua infanzia, un ritratto di solitudine perfetta: la incontriamo in un doppio isolamento, rannicchiata su un davanzale dietro le tende chiuse, intenta a osservare immagini di uccelli in Lapponia, Siberia, Islanda. Compagni glaciali per un mondo emotivo cupo e tempestoso, segnato da una matrigna e dei fratellastri che non la amano.

Eppure, in lei arde uno spirito di indipendenza che le permette di sopportare non solo quell’ambiente ostile, ma anche un collegio con razioni che fanno sembrare sfarzosa l’istituzione di Oliver Twist, le scioccanti rivelazioni a Thornfield e persino un breve periodo auto-imposto di vagabondaggio, da senzatetto e affamata.

Questa corazza di indipendenza le dà la forza, più tardi nel romanzo, di rifiutare un matrimonio senza passione con l’integerrimo e bellissimo St. John Rivers, che cerca la sua collaborazione solo come moglie missionaria in India. Con pochi predecessori letterari per la sua fermezza, Jane è forse la prima eroina della letteratura a non essere definita dalla sua bellezza.

Se amare Jane Eyre vi spingerà a esplorare i meno famosi romanzi di Brontë, anch’essi eccellenti, non dimenticate di immergervi nella saga familiare delle sorelle Brontë; la biografia di Charlotte Brontë scritta da Lyndall Gordon è particolarmente rivelatrice. E soprattutto, non trascurate il prequel che rompe ogni prospettiva: Jean Rhys con Il vasto Mar dei Sargassi, un romanzo che ci ricorda l’effetto corroborante e a tratti spaventoso di un altro punto di vista sul grande mistero di Thornfield Hall.

Anche per oggi è tutto, spero di trovarvi presto con un nuovo articolo, alla prossima.

Alice Tonini

Una replica a “Charlotte Brontë e il Gotico di Jane Eyre”

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    Una vvecchia lettura che mi aveva tanto appassionata! È ora di rileggerla. Grazie Alice!

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Un pensiero su “Charlotte Brontë e il Gotico di Jane Eyre

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