Museo delle Torture: un viaggio per vedere il volto crudele della Storia

Lettori dell’ ignoto ecco una esperienza che non potete perdervi. Avete mai visitato un museo delle Torture?

Tra le mura di un borgo incantato si nasconde un segreto inquietante. Al museo delle Torture di Grazzano Visconti è esposto un mondo fatto di dolore e sofferenza. Una esperienza forte, che difficilmente dimenticherò. Non avevo mai visitato un museo di questo genere ed ero curiosa perché nonostante le mie ricerche precedenti, volevo vedere con i miei occhi alcuni dei terribili oggetti di cui avevo sentito parlare. Ho visitato la struttura in autonomia e mi sono fermata all’ interno per circa quaranta minuti.

L’atmosfera era davvero inquietante, ma visto l’ argomento non poteva essere altrimenti. Il percorso tematico è ricco e ben documentato, sono messi in mostra diversi strumenti di tortura con una descrizione dettagliata e una stampa storica che cala il visitatore nella realtà dell’ epoca.

Le pareti del museo raccontavano storie di tormenti e disperazione. Ogni strumento era una testimonianza unica, muta, di una umanità in grado di infliggere sofferenze indicibili. Nella prima parte del percorso espositivo c’erano gli strumenti più conosciuti. La gogna con il suo collare in ferro che stringeva il collo mi ha fatto sentire la vergogna e l’ umiliazione inflitte a chi veniva condannato. Immagino le folle che si accalcavano per assistere a queste scene di pubblico ludibrio; uomini, donne e bambini che si divertivano al passaggio del barile della vergogna che con la sua scura concavità e le sue borchie di ferro era un simbolo vivente dell’ umiliazione e dell’ isolamento sociale, un corpo indifeso rinchiuso in una prigione mobile. Oppure le maschere dell’ infamia dalle forme grottesche e le aperture che deformavano i volti; indossarne una voleva dire essere privato della propria identità e marchiato a vita dall’ ordine costituito.

Impressionante è anche la sezione dell’ Inquisizione che mi ha particolarmente colpito. Immaginare donne e uomini accusati di stregoneria, sottoposti a interrogatori crudeli e dolorose torture è stato terribile. La verga, la sedia della strega, gli strumenti per la ricerca del marchio del diavolo. Ogni oggetto raccontava una storia di sospetto, paura e intolleranza. Ho sentito sulla pelle il freddo dell’ acciaio e ho provato una angoscia profonda al pensiero delle sofferenze inflitte a queste donne innocenti.

Tra le ombre del passato si nascondono anche delle sorprese. Oltre a farci conoscere gli orrori della tortura il museo ci insegna a distinguere la realtà dalla finzione. Attraverso esempi come la Vergine di Ferro, comprendiamo come i falsi miti possano influenzare la nostra percezione della storia medievale.

Il percorso espositivo si conclude con una riflessione profonda sulla sofferenza umana e sulla forza della fede. La sezione dedicata al martirio dei santi ci trasporta in un mondo di dolore e di sacrificio, dove donne e uomini hanno affrontato la morte con coraggio e dignità. Attraverso stampe e riproduzioni degli strumenti di tortura, siamo invitati a comprendere il valore di queste azioni e a riflettere sul significato della vita. È una esposizione che ci commuove e lascia senza parole, ricordandoci che la storia è fatta anche di gesti eroici e di sacrifici.

Il museo delle Torture di Grazzano Visconti è un luogo che lascia il visitatore con molte domande. Com’è possibile che l’uomo sia capace di tanta crudeltà? Quali sono le radici umane di queste pratiche? Ognuno di noi dovrà trovare le proprie risposte.

E anche per oggi è tutto. Vi aspetto al prossimo articolo, buona lettura a tutti voi.

Alice Tonini

Una replica a “Museo delle Torture: un viaggio per vedere il volto crudele della Storia”

  1. Avatar sillydeliciouslyf76523c1d3
    sillydeliciouslyf76523c1d3

    Perfettamente d’accordo col tuo punto di vista. Non sarei mai in grado di torturare, tanto meno di subire torture di alcun tipo. Il museo mi pare ben organizzato, ma avendo visto alcuni musei su strumenti di guerra, la tristezza e angoscia che mettono… credo non andrò. Grazie del articolo sempre interessante. Al prossimo.

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Cinema horror e stregoneria: da Aleister Crowley alle streghe di Eastwick

Oggi riprendiamo la nostra esplorazione dei sottogeneri del cinema horror e uno dei più diffusi è sicuramente quello delle streghe e dei loro patti con il male. 

Il demonio è protagonista da tempo della storia del cinema; dai
primi esperimenti di Georges Melies, alla versione de Lo studente di Praga di Poe interpretata da Paul Wegener (Rye and Wegener, 1913) fino al Faust di F.W.Murnau. Ne Il Gatto Nero (Ulmer, 1934) Boris Karloff recita la parte di un sacerdote in un culto satanico e più tardi Val Lewton produsse La
Settima Vittima
(Robson, 1943), che secondo la critica ha posto le radici per la figura del demonio
moderno che ha la missione di convertire gli scettici. Jaques Tourneur con il
suo eccellente Night of the Demon (Tourneur, 1957) porta sul grande schermo un
personaggio reale e dal nome familiare a tutti quelli che si sono interessati alla storia delle arti oscure almeno una volta: Aleister Crowley, conosciuto come “La grande
bestia” (1875-1974). Nessun lavoro sul satanismo o sulla stregoneria è
completo senza un riferimento a lui.

Nato nel 1875 e figlio di un facoltoso birraio, Crowley divenne un
membro influente di una delle società magiche più importanti della sua epoca: L’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata o Golden Dawn. Lui fu un poeta, un artista, uno sportivo e un
abusatore di droghe. Raccontò di essere stato contattato da un sacro
guardiano angelico durante i suoi viaggi in Egitto e che questi gli dettò il
libro della legge con il motto “Do what thou wilt, shall be the whole
of the law” (fai quello che vuoi, dovrebbe essere l’unica legge) una chiamata alle armi per i libertini di ogni dove, tra cui raccolse ampi consensi quando nel 1960 uscì la sua pubblicazione più conosciuta sulla magia e l’occultismo. Scrisse decine di libri sui temi più disparati: meditazioni, trattati, preghiere e saggi su occulto, arti esoteriche e alchimia.

Crowley fondò la sua personale filosofia e società dell’occulto, l’Oto (Ordine del Tempio Orientale) che fu pansessuale e coinvolse in
modo pesante l’uso di sostanze stupefacenti. Durante la sua vita divenne un personaggio famoso, conosciuto come il più importante stregone del mondo e nel 1932 portò in tribunale chi lo aveva definito mago nero (perse
la causa). Il giudice Mr Justice Swift disse “ io non ho mai udito
di cose più paurose, orribili, blasfeme e abominevoli come quelle dette da quest’uomo: mr Crowley”.

Verso la fine della sua vita dalla sua villa in Italia iniziò la vendita di un tonico chiamato “L’elisir del
Dr.Crowley” delle “pillole di vita“ che contenevano un mix di semi di chalk (una pianta succulenta). Cacciato dall’Italia dal regime fascista andò a morire a Londra.

La figura di Crowley fu molto influente e ispirò personaggi come Somerset Maugham, il mago Le Chiffre nel film Casinò Royale di
Iaan Fleming e The Magus di John Fowles nella letteratura. Nel film La Notte del Demonio (Tourneur, 1957) lo si vede interpretato come Karswell, e in The Devil Rides Out (Fisher, 1968), nella novella di Denis Wheatley lui è
Mocato. In Rosemary’s Baby (Polanski, 1968) lui appare come Adrian
Marcato. La sua più recente apparizione, che io mi ricordi, fu in A Chemical Wedding
(Doyle, 2009), scritto da Bruce Dickinson e ispirato alla band heavy metal dei
Judas Priest. Lui è il ragazzo che si occupa di magia nera.

Nei film sulla stregoneria il punto centrale, e compito del protagonista, è fare  accettare al pubblico l’esistenza della magia nera e della magia bianca. In The Night of the Demon lo scettico Dr
John Holden è a Londra per partecipare a un convegno dove Mr
Harrington vuole denunciare pubblicamente un culto. L’incontro con Karswell
cambierà poi le carte in tavola.

In Night of the Eagle (Hayers, 1961), è la moglie di un
professore universitario a usare la stregoneria per spingere la
carriera del marito, una idea inversa rispetto a quella di Rosemary’s Baby
(Polansky, 1968) dove Guy Woodhous permette a un culto satanico di
usare sua moglie come mezzo per ottenere lui stesso un avanzamento di
carriera. Rosemary’s Baby fu un grande successo, guadagnò altre 30
milioni di dollari e diventò uno dei primi block buster nella storia del cinema horror. Andare a
letto con il demonio è roba che vende, ma la storia è presentata in
modo che potrebbe essere tutto una fantasia di Rosemary che vede deteriorare la sua salute mentale durante la gravidanza. Le pozioni che le vengono
date sono l’aspetto più ovvio della stregoneria nel film, viene
evitato ogni aspetto ritualistico e non siamo resi partecipi del
patto diabolico fatto tra Guy e il demonio. 

Nei tardi anni 60′ crebbe
l’interesse nel demonio e nella stregoneria anche grazie alla musica. I Rolling Stones
rilasciano il loro album Satanic Majestic’s Request. Roman Polansky lesse le opere del professore R.L. Gregory “Eye and Brain” che parla della psicologia della vista e teorizzava il fatto che
noi vediamo meno di quello che pensiamo e che la nostra percezione
della realtà è piena di false memorie. Polanski scrive nella sua autobiografia del 1984 che l’intera storia vista attraverso
gli occhi di Rosemary può essere pensata come una catena di
coincidenze superficiali sinistre, un prodotto di fantasie fervide, ombre come quelle che Scrooge nega di vedere la notte di natale. Molti nel pubblico
sono convinti di vedere Cloven Hooves e la faccia del bambino alla
rivelazione finale del film, quando appaiono sullo schermo (superimposto dalla regia) due
occhi felini.

Witchfinder General (Reeves, 1968) fu incentrato sulla caccia alle
streghe e sui roghi come rituali sadici e il pezzo forte di Ken
Russel The Devils (Russel, 1970) fu un film di stampo politico riguardante i preti
piuttosto che un’accusa verso le attività diaboliche delle streghe. Il film di Robin Hardy
Wicker Man (Hardy, 1973) è ritenuto dalla critica il miglior film britannico folkloristico horror
sul paganesimo ed è una meravigliosa rivalsa delle credenze giudeo-cristiane su folklore e tradizioni. I sequel e i remake sono prodotti da ignorare.

Le Streghe di Eastwick (Miller, 1987) ispirato ad una storia di
John Updike, riguarda tre donne abbandonate dai mariti che formano un gruppo e invocano il demonio
(con la faccia di Jack Nicholson). Il film fu girato per ridere con
pochissimi ingredienti horror e un disgusto di media entità senza
preoccuparsi troppo dei contenuti horror. 

The Craft (Andrew Fleming, 1996) parla di un gruppo di
tre ragazze teenagers che scoprono che una loro nuova amica ha grandi
poteri magici, fa incantesimi sui loro compagni di classe e su ogni altra
persona che la infastidisce. Qui i riti della Wicca sfuggono di mano e la ragazza
cattiva di nome Nancy li porta oltre il semplice passatempo. Le altre del gruppo si rivoltano contro la cattiva e la protagonista Sarah invoca un potere superiore che
sconfigge Nancy e rimuove i
poteri alle amiche. Il messaggio di questo film riguarda più la
sociaizzazione tra i teenager che la vera stregoneria, con una premessa che dice che è ok essere diversi, ma non troppo. Il fatto che i personaggi principali fossero tutte ragazze bullizzzate o abusate è interessante ma il
motivo della vendetta avrebbe potuto essere più oscuro con forse un
po’ più di riempimenti stregoneschi.

Le streghe sono seguaci del demonio, di culti divenuti popolari dal 1960 circa e la strega moderna non ha
bisogno di un mentore maschile, ma forse detto così direttamente è troppo ovvio. Ira
Levin nel suo lavoro The Stepford Wives (Forbes, 1975) dice una frase
molto interessante sul supposto posto delle donne nella società: “ci sono molti paesi oggi che hanno ancora una
attitudine medievale verso le donne ed è a quelli che noi guardiamo
per trovare storie nuove”.

Sulle opere di Dario Argento ci vuole un post a parte

In termini di caccia alle streghe, oltre che il già citato
Witchfinder General (Reeves, 1966) è stato fatto poco riguardo la
purga europea della stregoneria. In America c’è la storia della caccia
alle streghe di Salem reinterpretata per il palco da The Crucible di
Arthur Miller (Miller, 1953) e portato su pellicola nel 1957 (Rouleau, 1957) e poi nel
1996 (Hytner, 1996) ma poco altro e non di buona qualità. 

Bene lettori e lettrici con le streghe e il cinema anche oggi è tutto. 

A presto per un nuovo appuntamento con il mistero e come al solito vi invito a leggere un buon libro o guardarvi un bel film, e se ancora non lo avete fatto iscrivetevi alla newletter per restare sempre aggiornati.

Alice Tonini 

Mather Cotton e i processi di Salem: da pilastro della letteratura a testimone ingombrante?

 Oggi vi parlo della biografia scritta da Kenneth Silverman nel 1989 dedicata ad uno degli uomini il cui nome è associato direttamente al processo (o processi) di Salem. Il libro si intitola The life and Times of Cotton Mather, in italiano diventa La vita e il tempo di Cotton Mather. Non lasciatevi trarre in inganno dal titolo semplice perché si tratta di un volume che oggi si trova sul mercato a prezzi esorbitanti; è raro, ricercato e pregiato.

“Un contadino entrato nella storia” e “un gargoyle nazionale”, queste sono due delle pungenti frasi che Silverman riserva all’immagine di Mather Cotton da lui ritratta. Il personaggio protagonista del libro che abbiamo scelto per l’invito alla lettura di oggi (il penultimo dedicato alle biografie e autobiografie) è figura molto controversa della storia americana. 

Edizione in vendita su Etsy alla modica cifra di 110 euro. 

E’ vero che finchè a parlare sono i suoi seguaci che fanno parte del gruppo “Mather Cotton” di Austin in Texas gli sguardi minacciosi e le critiche arrivano come pioggia. Ma si tratta di quello che viene considerato all’unanimità il pilastro della letteratura americana post guerra d’indipendenza. Uno uomo di chiesa, misogino e conservatore, un letterato potente senza eguali che si laurea ad Harvard a sedici anni e pubblica un numero impressionante di libri. La biografia mette in risalto le luci e le ombre di un personaggio discusso e discutibile cui si danno e tolgono responsabilità senza trovare un punto d’incontro e il cui comportamento contradditorio non aiuta a chiarire le sue posizioni.

Se conoscete solo gli stereotipi o gli eccessi di Mather, magari visti in qualche film o letti in qualche romanzo, questo libro vi farà cambiare idea. Non darà a voi lettori una figura demoniaca da odiare né vi racconterà di lui come di un santo circondato da un aura mistica, ma si tratta di una biografia di vita reale che racconta del vissuto di un essere umano complesso della fine del 1600. Puritano, pastore protestante, teologo di professione e medico, Mather era profondamente interessato ai telescopi e ai microscopi; per il suo impegno a favore della vaccinazione contro il vaiolo divenne l’obiettivo di un tentativo di omicidio. 

Questo fu il padre di Cotton Mather, 

Increase Mather. In alcuni film lo hanno fatto diventare un cacciatore di streghe in realtà fu un eccellente studioso e insegnante che iniziò la sua educazione ad Harvard a soli dodici anni.

Come teologo Mather aveva una posizione religiosa che possiamo definire “tollerante” per l’epoca storica, in opposizione a quella di Silverman, l’autore odierno, che invece è vicino a quelle di Thomas Jefferson  che fu laico e liberale. Nonostante questa documentata tolleranza viene indicato come una delle figure chiave dei processi alle streghe di Salem di cui ci da testimonianza scritta (ma credo sia materiale per un post a parte).

Silverman lo chiama “la prima figura americana non mistificabile nella storia della nazione”. Se l’energia è una qualità americana, Mather ne aveva da vendere. Nei suoi 65 anni di vita terrena, scrisse circa 400 opere e tenne un voluminoso diario per più di 30 anni, corrispose copiosamente con molti personaggi della sua epoca e il tutto mentre era ministro della fede alla Boston’s Old North Church dove componeva lunghi sermoni e preghiere (una delle ultime che compose durava un’ora). Trovò tempo per impegnarsi in opere di beneficenza come persuadere un membro della chiesa inglese a elargire donazioni per fondare una “accademia per educare i dissidenti americani” ora meglio conosciuta come l’Università di Yale in onore di quel donatore: Elihu Yale.

Nella vita privata si sposò tre volte e se qualcosa può rendere questa figura più umana è il racconto del suo terzo matrimonio con la burrascosa (o forse psicopatica) Lydia Lee George, una vedova ricca e in salute. Una volta lo abbandonò nel mezzo della notte in quello che lui chiamò “un orrido attacco di rabbia” e non tornò per più di una settimana, si fece rivedere solamente dopo che Mather ebbe notizie della morte di uno dei suoi figli a causa di un incidente navale (dei suoi 15 figli solo sue gli sopravvissero).

Ma riguardo al processo delle streghe di Salem? L’immagine negativa di Mather iscrive il suo nome in modo indelebile in questi capitoli oscuri della storia coloniale americana. Di certo non fu lui a prelevare le vittime da casa e a mettere loro il cappio al collo. I fatti sono molto più complessi, non partecipò a nessuno dei processi ma ne fu testimone in prima persona e i suoi sentimenti a riguardo furono “ambivalenti”. Il suo libro Wonders of the invisible World, tradotto in italiano con il titolo Le meraviglie del mondo invisibile è una condanna pubblica alle sue discutibili posizioni. Cotton Mather era fermamente convinto dell’esistenza degli esseri spettrali, sia maligni che benigni. Nel 1693 arrivò a registrare nel suo diario la visita nel suo studio di un angelo splendente che indossava tra i capelli una tiara d’oro. –Qui se masticate l’inglese potete trovare il link a un interessante articolo su di lui del Salem’s Museum-. 

Silverman libera il nostro Mather dalla casa degli orrori con la rappresentazione della sua infanzia. Non solo suo padre fu un brillante e stimato ministro, ma lo furono anche entrambi i suoi nipoti. Se quelli con un ricco heritages devono soddisfare grandi aspettative, Mather entrò nel mondo con un peso notevole di aspettative sulle sue spalle. Non sorprendetevi di apprendere che il giovane Cotton nato per incantare le folle per ore con i suoi sermoni soffriva di balbuzie. (Silverman usa le difficoltà di Mather come un modo per metaforizzare la sua prospettiva spesso contraddittoria, che lui chiama “Mathrese”).

Nel libro Cotton non viene condannato ma non viene neppure salvato, la sua figura resta realistica e controversa. 

Altrove Silverman descrive una biografia come “una somiglianza”, “uno sketch poliziesco composto da più elementi”. 

Voi lettori dovete giudicare questa biografia come qualcosa di vicino alle opere di John Singleton Copley, pittore dell’epoca coloniale famoso per i suoi ritratti di personaggi famosi composti anche con oggetti di uso quotidiano. Thomas Carlyle descrisse una biografia ben scritta come “quasi rara come una vita ben vissuta” e se voi lettori siete in disaccordo riguardo i meriti della vita di Mather, non avrete dubbi riguardo questa ottima biografia.

Curiosità: questo è Mysterious Dave Mother, un pericoloso pistolero fuorilegge del West nel 1800. Si tratta di un bis-nipote del nostro Mather Cotton che non ne andrebbe fiero. 

E per oggi è tutto, come sempre vi invito a leggere (anche questo blog va bene…😉) per arricchire la vostra vita. Buona lettura e alla prossima. 

Alice Tonini