L’arte del disgusto: come l’horror sonda le nostre paure più nascoste

Carissimi lettori dell’ignoto, ben trovati. Tempo fa avevo promesso che saremmo tornati a parlare del nostro amato cinema horror e avrei fatto con voi una carrellata di alcuni dei sottogeneri più particolari. Sarò onesta con voi. Alcuni dei sottogeneri che vi cito nell’articolo hanno dato vita a opere che si possono includere negli annali della storia del cinema ma allo stesso tempo comprendono titoli “spazzatura” che sono veri e propri buchi nell’acqua.

Nel panorama del cinema horror contemporaneo, una nuova oscurità si è fatta strada, alimentata da una terminologia che opera come un incantesimo distorto: Torture Porn, Gorno, Splastick e Splatterpunk. Con l’avvento della CGI e di effetti speciali sempre più realistici ed economici, ciò che un tempo sembrava “hokey” (ingenuo o finto) è diventato terribilmente credibile, raggiungendo un pubblico sempre più vasto e affamato di brividi e di emozioni distorte.

Questa evoluzione ha dato vita a filoni horror che non si limitano più a spaventare, ma che vogliono disgustare.

Lo Splastick, per esempio, è una variante che unisce l’orrore alla commedia, creando un umorismo macabro nel mezzo di sangue e viscere. Film come Bad Taste (1987) di Peter Jackson, Slither (2006) o persino Child’s Play (1988) trasformano il disgusto in una fonte di risate nerissime, un modo per elaborare l’orrore attraverso il grottesco.

Ma il vero baratro del disgusto lo si raggiunge con il cinema asiatico estremo e i suoi “balletti di sangue” come Ichi the Killer (2001) e Tokyo Gore Police (2008), film che portano lo splatter a livelli quasi surrealistici. Questo genere ha raggiunto il suo apice alla fine degli anni 2000, un periodo in cui anche l’Europa, in particolare la Francia, ha risposto con opere di rara brutalità come Martyrs (2008) e Frontier(s) (2007), film che hanno scavato nel profondo della sofferenza umana. Non si può non menzionare anche il danese Antichrist (2009) di Lars von Trier e l’olandese The Human Centipede (2009), opere che hanno spinto i confini del disgusto fino al limite dell’insostenibile.

Tuttavia, è il Torture Porn, con franchise come Saw e film come Hostel di Eli Roth, ad aver guadagnato la peggior reputazione. Il suo obiettivo non è la paura, ma la contemplazione quasi voyeuristica della sofferenza umana, con un focus sadico su torture ingegnose e inumane.

Ma cos’è che ci fa davvero rabbrividire? Il disgusto è un’emozione primordiale, un’antica difesa contro ciò che è putrido, sporco o tossico. A differenza della paura che accelera il battito cardiaco, il disgusto lo rallenta, quasi a voler fermare il corpo di fronte a qualcosa di insopportabile. Nel cinema horror, questa emozione viene manipolata attraverso sette categorie principali:

* Contaminazione: Il terrore che qualcosa o qualcuno infetto possa raggiungerci. È una paura ancestrale, erede delle piaghe del passato, che rivive nei film di zombie, in Slither o in Contagion.

* Funzioni Corporee: L’orrore di fronte a fluidi, secrezioni, vomito, muco o, peggio ancora, la decomposizione del corpo. È l’intrusione del biologico, del putrido, in un’immagine che vorremmo pulita e integra.

* Ferite e Trauma: La vista di un corpo sventrato, spezzato, incapace di guarire. Qui il disgusto si lega all’empatia, al desiderio che la sofferenza dell’altro finisca, un’identificazione che rende l’orrore ancora più personale e viscerale.

* Tortura: L’umiliazione e il dolore inflitti al corpo umano. È un disgusto che sorge dalla nostra empatia per la vittima, a meno che l’aggressore non sia una figura che rompe ogni legame sociale, come un sociopatico o un serial killer.

* Corpo Sminuzzato: Il taglio, lo squartamento, il pestaggio o qualsiasi azione che esponga e danneggi l’interno del nostro corpo. È l’orrore della nostra fragilità fisica, di fronte a un’integrità che si dissolve.

* Cibo Estraneo o Marcio: Il ribrezzo per ciò che è ammuffito, alieno o corrotto, anche solo nell’aspetto. Un disgusto istintivo, radicato nella nostra sopravvivenza, che si manifesta anche nel cannibalismo o nella consumazione da parte di altri esseri.

* Splicing e Antropomorfismo: L’unione non scientifica tra esseri diversi, un’aberrazione che viola le leggi della natura. Film come Splice, The Human Centipede o Dead Ringers esplorano il disgusto che nasce dal disordine biologico, dall’alterazione della nostra forma umana.

Infine, esiste un tipo di disgusto più profondo, il disgusto morale. Un’emozione culturalmente costruita e introiettata che spesso si riversa in giudizi etici, fobie o paure verso ciò che percepiamo come “sporco” o “diverso”, che si tratti di identità, razze o comportamenti che esulano dalla norma. In questo senso, il disgusto non è solo una reazione fisica, ma un’arma potente, capace di plasmare i nostri giudizi e le nostre paure più recondite.

Il cinema horror, nella sua forma più estrema e conturbante, ci obbliga a guardare in faccia tutto questo. Ci costringe a confrontarci con ciò che è innominabile, sporco e abietto, non solo fuori di noi, ma anche nelle pieghe più oscure della nostra psiche.

Alice Tonini

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L’evoluzione dell’Horror: Dalla Letteratura al Cinema

Lettori del mistero e dell’ignoto bentrovati. Fan dell’horror siete pronti?

Oggi vi porto a fare un giro nel lato più oscuro del blog. Ricordate gli articoli sulla storia del genere che ho proposto tempo fa? Oggi li rivediamo insieme.

Siamo partiti dalle origini, abbiamo visto le prime opere significative e il passaggio fondamentale dalla letteratura al cinema. Nelle profondità della notte, dove l’inchiostro si fonde con l’oscurità e le parole sussurrano storie di terrore è nato il genere che perseguita gli incubi degli uomini da secoli e che ci fa divertire con le sue contraddizioni e le trovate macabre, grottesche ma spesso serie e rivoltanti. Le radici dell’orrore affondano in epoche remote, quando l’uomo prigioniero di paure ancestrali cercava di esorcizzare i propri demoni attraverso i racconti di spettri, mostri e creature abissali.

Il XVIII secolo segna la nascita del romanzo gotico, il genere letterario che getta le basi per l’horror moderno. Castelli tenebrosi, segreti inconfessabili, amori tormentati e presenze soprannaturali popolano le pagine di opere come Il castello di Otranto di Horace Walpole e Frankenstein di Mary Shelley. Questi romanzi intrisi di un atmosfera cupa e decadente esplorano i lati oscuri della psiche umana, mettono in scena figure tormentate dai sensi di colpa, da ossessioni e desideri proibiti.

Il passaggio dalla letteratura al cinema è stato una evoluzione naturale per il genere. Le immagini in movimento e la loro capacità di evocare emozioni intense e immediate sono lo strumento perfetto per dare vita alle creatura che popolano l’immaginario degli scrittori. I primi decenni del XX secolo hanno visto la nascita di capolavori come Nosferatu, il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau e Il mostro della laguna nera (1954) di Jack Arnold, sono opere che hanno saputo sfruttare le potenzialità del linguaggio cinematografico pe creare atmosfere inquietanti e personaggi indimenticabili. L’horror tuttavia non si limita a spaventare. Le sue storie sono metafore di paure sociali e individuali, ci invitano a riflettere sulla nostra condizione umana, sui nostri limiti e sulle nostre fragilità. È uno specchio oscuro che ci riflette, mostrandoci le nostre ombre più profonde e svelandoci la nostra capacità di affrontare le avversità.

L’articolo di riferimento per la prima parte della storia del genere è il seguente Horror: nascita di un genere, dalla letteratura ai film.

Gli anni ’40 segnano un periodo di consolidamento per il genere horror, con gli Universal Studios che detengono una sorta di monopolio sulla produzione di film di questo tipo. La casa di produzione sforna una serie di classici che sarebbero diventati iconici, come L’uomo lupo (1941) e La mummia (1932). Questi film, caratterizzati da atmosfere cupe e gotiche, mettono in scena mostri leggendari, figure tragiche e complesse, che incarnano le paure e le angosce dell’uomo moderno.

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Mentre Hollywood si concentra sulla serializzazione dei suoi mostri, il cinema europeo, pur tra difficoltà e limitazioni, cerca di esplorare nuove strade. In Italia, ad esempio, il genere si intreccia con il cinema fantastico e con la tradizione del gotico letterario, dando vita a opere come Il mostro di Venezia (1953) di Riccardo Freda. Gli anni ’40 sono dunque un periodo di transizione per l’horror, un genere che, pur rimanendo ancorato alle sue radici gotiche, inizia a confrontarsi con nuove tematiche e a sperimentare nuove forme espressive.

Se ti incuriosisce questa fase della evoluzione che va dagli anni ’40 fino alla comparsa dei primi film di zombie trovi l’articolo qui. Gli zombie nella storia del cinema dagli anni ’40 a oggi.

Dagli anni ’70 in poi, l’horror ha subito una trasformazione significativa, pur rimanendo legato a temi classici come le case infestate e i lupi mannari. Le case infestate, luoghi di presenze oscure e memorie traumatiche, sono diventate protagoniste di film come Amityville Horror (1979) e The Conjuring (2013), mentre i lupi mannari, creature ibride tra uomo e animale, hanno continuato a popolare l’immaginario horror in pellicole come Un lupo mannaro americano a Londra (1981) e The Wolfman (2010).

L’horror moderno, tuttavia, non si limita a riproporre vecchi schemi. Il genere si arricchisce di nuove tematiche, come la violenza psicologica, il disagio sociale e le paure legate alle nuove tecnologie. I film horror contemporanei spesso mettono in scena personaggi complessi e tormentati, alle prese con i propri demoni interiori, e utilizzano effetti speciali sempre più sofisticati per creare atmosfere di terrore sempre più intense.

Se vuoi approfondire i misteri dell’ horror dei giorni nostri l’ articolo dedicato è questo: Dai lupi mannari alle case infestate: arriva l’horror moderno.

Anche per oggi è tutto, spero di avervi dato la vostra quotidiana dose di ignoto e mistero anche stavolta. Ci vediamo prestissimo con un altro inquietante articolo.

Alice Tonini

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A chi non piace un bel film Slash?

Ed eccoci oggi all’ultimo appuntamento, per ora, con il cinema horror e i suoi sottogeneri. Non potevo che finire con il mio genere preferito: gli slasher.

Gli Slasher o i film chiamati anche Stalk e Slash sono i più difficili da affrontare tra tutti i sottogeneri a causa della marea di cliché che li circonda, ma è anche il genere con cui l’industria cinematografica ha fatto i soldoni, tanti soldoni. Ed è il genere che ha creato personaggi iconici come Michael Myers o Freddy Krueger. E il ragazzo frustrato, quello moro, che nei film riceve  sempre la notizia peggiore e se ne dispera.

Il nostro ragazzone è già pronto!

 

L’inizio del genere può essere fatto risalire agli anni ’70 circa con Black Christmas – Un natale rosso sangue (Bob Clark, 1974) ma la sua popolarizzazione arriva senza dubbio con Carpenter e l’iconico Halloween – La notte delle streghe (Carpenter, 1978) il genere ha preso piede negli anni ’80 con filmoni e sequel come Nightmare on Elm Street  e Venerdì 13. Oggi entrati nella storia del cinema.

A questi seguono film di seconda fascia fatti solo per gli incassi come Sleepaway Camp (Hiltink, 1983) e Prom night (Lynch, 1980), i quali non aggiungono nulla al genere. E potremmo rimanere qui a citarne a decine di questi sottoprodotti.

 

 

L’introduzione di VCR e VHS, le famose videocassette, significa che l’orrore non resta più confinato nei cinema e può aggirarsi per le case garantendo notti insonni e rumori inquietanti a tutti.

Negli anni ’90 arriva Kevin S.Willamson con Scream (Craven, 1996) introducendo una nuova icona indimenticabile: Ghostface. Un personaggio post moderno che porta ironia, in un sottogenere all’epoca stanco e demotivato, che uccide le star come Drew Barrimore e i primi quindici minuti del film sono uno storico omaggio a Psycho. In quel momento il gioco degli slasher diventa quello di sovvertire il film di paura tradizionale ribaltando i cliché e peccato che come al solito i sequel, Scream II (Craven, 1997) e seguenti, risultino un po’ piatti. Gli imitatori sono arrivati con I know What you did last Summer (Gillespie, 1997) e Urban Legend (Blanks, 1998).

 

 

La teorica femminista Carol Clover scrisse un trattato sul genere Slasher intitolato “Men, women and Chainsaws” (Clover, 1992), nel quale lei crea la teoria della ragazza finale.

L’autrice descrive la ragazza che sopravvive al massacro del nostro killer definendola come l’investigatrice coscienziosa del film, l’unica che mostra intelligenza, curiosità e che resta vigile durante tuttol’arco narrativo. Di solito le viene affibiato un nome americano unisex tipo Laurie o Sidney, è spesso vergine o si comporta con i ragazzi in modo morigerato, non interessato o non disponibile al sesso, all’opposto dei suoi compagni/amici (da qui arriva l’idea errata che negli horror il sesso sia connesso alla morte del personaggio). Di solito è connessa al killer a causa della sua famiglia o degli ambienti che frequenta, e nel corso dell’azione si mascolinizza impossessandosi di un arma (simbolo fallico) appropriata con la quale fare fuori l’assassino di turno.

Per arrivare alle fasi finali deve essere a conoscenza del male, lo spettatore deve avere l’impressione che lei sia sommersa dal male, psicologicamente ma spesso anche fisicamente entrando nel campo di caccia del killer (case infestate, cimiteri abbandonati etc.). Ci sarà sangue e fango e fluidi vari per replicare il liquido amniotico. Ci sarà una morte simbolica e una rinascita in un tunnel o simil tale. In Halloween (Carpenter, 1978) l’utero è una credenza con una porta a doghe: per alcune ragioni (come si nota  in Behind the mask: the rise of Leslie Vernon 2006 di Scott Glosserman, i serial killer in questi film sono spaventati dagli sportelli di legno delle credenze.

 

 

La nostra ragazza finale deve essere femmminile perchè deve affrontare e sostenere il rigetto psicologico del terrore che in un qualche modo il mondo maschile non può tollerare. Nei fatti il suo genere può essere abbastanza fluido. E’ una specie di maschiaccio, mai una sgualdrina ( quella di solito è bionda e cheerleader), e lontana anni luce dall’idea degli anni ’50 di eroina bisognosa di aiuto e di un eroe/principe azzurro. In questo modo Clover sostiene che la sua fluidità di genere combinata con la mascolinità estrema del killer illustra l’impatto del femminismo sulla cultura popolare.

Ovviamente si tratta di una teoria che è stata molto discussa, ha i suoi pro e i suoi contro. Non ve la presento per verità assoluta ma ognuno di voi è libero di trarre le proprie conclusioni.

Molti scrittori, registi e produttori sono consapevoli delle regole scritte o meno del genere Slasher e negli ultimi dieci anni sono stati fatti diversi tentativi per cercare di evitare l’ovvio e sovvertire le regole. All the boys love Mandy lane (Ievine, 2006) è un esempio da medaglia d’argento: una caratterizzazione forte dei personaggi, molti buchi nella trama ma una rivelazione finale che delizia (e annoia allo stesso tempo). Teeth (Lichetenstein, 2007) nonostante sia qualcosa di più di una pellicola comica dalle tinte dark riprende i film degli anni passati (abbiamo già parlato di un film dove compare una vagina dentata) e ha anche una protagonista femminile forte. In Cabin Fever di Eli Roth (Roth, 2002) tutti i personaggi sono intenzionalmente spiacevoli, così non ci dispiace se le donne si ammalano.

Gli Slasher hanno attraversato la loro fase rococò e ora sembrano in un momento di stasi ad eccezione di parodie, omaggi, prequel e sequel poche pellicole colpiscono per elementi innovativi e originali (Hatchet; Green 2006).

 

 

Comunque la pensiate si applicano ancora due fondamentali regole: la giovane protagonista forte è adattabile ad entrambi i sessi e seconda regola fondamentale la ragazza carina con la maglietta bianca o khaki e il seno prosperoso attrae sempre fidanzati facoltosi e  popolari (magari giocatori di football). Voi che dite?

E anche per questo sottogenere abbiamo finito e salutiamo il cinema horror. Spero abbiate trovato divertenti gli articoli dedicati, d’altronde io sono qui proprio per questo, e ci vediamo alla prossima.

Nel frattempo non dimenticatevi di leggere un buon libro, ogni anno ne vengono pubblicati più di 90.000 solo in Italia. Vi sfido a trovarne almeno uno che vi piaccia. Date una possibilità anche ai miei romanzi e iscrivetevi alla newsletter per tenervi sempre aggiornati.

Alice Tonini

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Gli scienziati pazzi al cinema: ma esistono ancora?

 Bentrovato, mi scuso per il ritardo ma in questi giorni ho parecchio da fare e trovare il tempo per editare il testo per l’articolo di oggi è stato difficile. Ma noi non ci arrendiamo e torniamo a noi e ai nostri articoli sui sottogeneri del cinema. 

Purtroppo questi articoli stanno per finire per ora, in scaletta ho ancora un articolo su uno dei miei generi preferiti e poi si parlerà di altro: torneremo ancora a Efeso, ci saranno degli articoli dedicati alla scrittura di libri horror, inviti alla lettura interessanti. Insomma restate sintonizzati e avrete parecchio da leggere.

 

 

 

Ora vediamo come nel tempo gli scienziati pazzi dei film si sono evoluti fino a diventare oggi degli incompresi, faremo anche un breve ritorno al body horror.

Oh, in the name of God! Now I know what it feels like to be God! 

Frankenstein (James Whale, 1931)

Con questa citazione tratta dal classico della Universal del 1931 Frankenstein, il regista esprime la paura di una intera generazione, vissuta a cavallo tra i due secoli e che ha fatto esperienza di cambiamenti che hanno rivoluzionato il mondo. 

 

 

 

La paura del cambiamento e della novità è sempre esistita, dalla preistoria fino ai giorni nostri. La rivoluzione industriale in Gran Bretagna fu accompagnata dal movimento sindacale le cui richieste si infransero contro gli interessi economici delle grandi fabbriche nelle periferie, a quell’epoca molti vedevano nel progresso la benzina da buttare sul fuoco delle richieste degli scioperanti. Ma quella fu anche l’epoca della medicina vittoriana, delle prime operazioni chirurgiche che nella maggior parte dei casi uccidevano il paziente, dei dottori in competizione tra loro sulla velocità con cui potevano rimuovere un arto. Pensate che i più bravi in tre minuti netti vi segavano una gamba. 

Arrivò poi la prima guerra mondiale che portò la meccanizzazione della morte su larga scala; furono gli scienziati che crearono il gas mostarda che massacrò tutti quegli uomini nelle trincee; e più tardi ancora arrivarono i veleni utilizzati nella seconda guerra mondiale nei campi di concentramento per sterminare gli ebrei. Fu la scienza che ci portò la bomba atomica che distrusse Hiroshima e Nagasaki, ma anche la fissione nucleare che oggi da energia e potere ai governi del mondo. 

 

 

 

Fu proprio l’uso della bomba atomica nel 1944 che irrevocabilmente cambiò la percezione comune della scienza e dello scienziato, cosa che si riflettè nei film fantascientifici e horror prodotti a partire dagli anni ’50. Secondo questo nuovo filone cinematografico uno scienziato non sarà mai più degno di fiducia totale, perchè senza morale, e da allora gli scienziati verranno sempre messi a lavorare in qualche agenzia supersegreta su qualche sinistro piano per conquistare il mondo o in qualche reparto governativo per creare una nuova arma letale. 

Una volta che l’iconografia di Frankenstein fu messa a letto dalla cinematografia moderna la versione dello scienziato pazzo anni ’50 venne raggiunta da infinite varianti originali. Abbiamo il dottor Richard Marlow (interpretato da Bela Lugosi) che aveva l’abitudine di usare la magia nera e le anime delle ragazze che rapiva per fare rivivere la moglie defunta (Voodoo Man di Hook, 1944), abbiamo poi il dottor Peter Blood, che esumava i corpi e vi metteva dei cuori pulsanti per riportarli in vita (Dr, Blood’s Coffin di Sidney J. Furie, 1961) e la chirugia plastica del dottor Genessier, che sfigurò sua figlia con esperimenti fallimentari di ricostruzione facciale (Eyes without a face di Franju, 1960) riadattato in una ottima versione con l’opera The Skin I live in (Almodovar, 2011).

 

Il 1980 vede il proliferare dei media vecchi e nuovi: pornografia, campagne di marketing, video e Tv via cavo (poi rimpiazzate dalla TV satellitare) con i nuovi spettacoli di cabaret che sostituiscono quelli radiofonici. Si forma una nuova visione idealizzata del corpo umano che deve rispettare nuovi canoni estetici. La critica Naomi Wolf chiama la visione che nasce in quest’epoca “il mito della bellezza”. Nelle sue opere sostiene che “questo stato impossibile non può essere creato senza l’intervento della chirurgia plastica o della liposuzione.”

 Alla medicina e al mito della bellezza si affianca l’idea delle trasformazioni di genere, cinematograficamente figlie del lavoro di Cronenberg che guarda in questa direzione molto presto rispetto ad altri registi. L’avversione verso Photoshop spazza via l’ideale e il mito manifestandosi nell’esplosione delle modificazioni corporee: tatuaggi, piercing e scarificazione in rivolta contro il corpo perfetto. 

 

Cronenberg rivoluziona gli ideali della società. Una placca sul muro del dottor Hobbes in Shivers (Il demone sotto la pelle di Cronenberg, 1975) dice che “Il sesso è l’invenzione di una malattia venerea intelligente”. Ma il ruolo degli scienziati non è solo quello di alimentare gli istinti primordiali dell’umanità con esperimenti che ovviamente sfuggono al controllo.

Il regista di L’esperimento del dottor K. (The Fly di Kurt Neumann, 1958) fa dire allo scienziato Andre Delambre che: “l’umanità non ha più bisogno di provare desiderio o paura”; ma l’interesse dello scienziato è quello di infilare qualcuno nella macchina del teletrasportatore per soddisfare la sua sete di conoscenza. Forse in questo film si può ritrovare un mix con le idee di Cronenberg in VideoDrome: la trasformazione, la combinazione dei sessi e il corpo che si deforma. 

Ma comunque anche Cronenberg ebbe la sua versione della mosca (Cronenberg, 1986). La trasformazione del corpo, nella visione di Cronenberg, riguarda non solo la sessualità ma anche l’invecchiamento o una relazione amorosa che brucia le tappe per dirigersi verso la tragedia, in questo caso abbiamo il pene del protagonista Brundle tenuto in un vaso trasparente dalla compagna Veronica che alla fine continua la sua vita disillusa. Lei che nel film avrà bisogno di essere salvata da Brundle-mosca che la vuole moschizzare e si rivolta contro il suo ex fidanzato poliziotto colpendolo con il vomito acido. La trasformazione di Brundle-mosca si completerà ma la creatura nè umana nè animale non avrà nessun posto dove ascendere o discendere dalla sua mutazione e resta condannato nel suo limbo di solitudine. La mosca umana, emersa con il teletrasporto, in un ultimo atto di follia finale diventa essa stessa la macchina per il teletrasporto. La creatura patetica uomo-macchina-insetto che emerge da quest’ultima mutazione implora solo di essere liberata con la morte. E la follia dello scienziato u il compimento finale.

 

 

La visione dell’uomo macchina comparsa in questo film si interfaccia con altre opere del regista anticipando lavori più tardi di Cronenberg come Ballad Crash (Cronenberg, 1996), di altri film ne abbiamo parlato lo scorso articolo, e si può notare la sua influenza per Shin’ya Tetsuo (Tsukamoto, 1986) e Tetsuo II (Bodyhammer Tsukamoto, 1992).

La scienza malvagia è qui per rimanere. Gli scienziati pazzi non vedono l’ora di conquistare il mondo. E i film non aspettano altro se non l’ennesimo fallimento scientifico per alimentare le nostre paure. Dai disastri come quello di Bhopal o gli incidenti nucleari come quello di Chernobil (Chernobil Diaries di Parker, 2012), l’incidente nucleare all’isola Three Mile solo per citarne un paio da cui sono tratti decine di film. L’effetto dell’epidemia di SARS a Hong kong nel 2002 o quello del Covid lo possiamo ritrovare in Contagion di Stevan Soderbergh (Soderbergh, 2011). Le epidemie ci vedono affrontare nemici invisibili creati dalla scienza, come il gas Sarin, arma chimica senza odore, colore, e consistenza, cui furono esposti 5000 giapponesi nel 1995 o gli attacchi con l’antrace negli US.

La scienza cattiva e il complottismo sono parte integrate delle sceneggiature ancora oggi. Le corporazioni farmaceutiche ci nascondono le cure in attesa di vantaggi economici. Gli scienziati sono consapevoli che i fondi della ricerca possono essere loro tolti in ogni momento e sono obbligati a fare la parte dei cattivi per il bene supremo dell’umanità. Sono presenti in decine di opere.

 

E il Padrone in tutto ciò cosa c’entra?

 

In 28 days after (Boyle, 2002) il virus Rage è stato testato sugli animali e ha fatto venire un infarto a tutti gli scienziati quando ha trasformato gli infetti in animali feroci assetati di sangue. Una cosa simile può essere stata sviluppata solo per divenire una pericolosa arma chimica. Poi il film non è granché ma è per farvi un esempio di come la tecnologia diventa nanotecnologia nucleare al servizio degli eserciti, la cybernetica diventa più sofisticata e crea ibridi macchina-uomo, la chirurgia e la medicina sradicano le malattie e ne creano di nuove, e noi non siamo mai a corto di scienziati pazzi. 

Il canone non è completo senza una menzione a Frank Henenlotter con Basket Case (Henenlotter, 1982) e FrankenHooker (Henenlotter, 1990) Stuart Gordon con Re-animator (Gordon, 1985) e Dragon (Gordon, 2001) o Brian Yuzuna con Society (Yuzna, 1989); oppure vogliamo parlare della visione maestosa e intricata di Clive Barker in Hellraiser (Barker, 1987) e Nightbreed (Barker 1990) e qualche consiglio di come usare lo scalpello da Lloyd Kauman , co fondatore della Troma Entertainment, casa di produzione indipendente di film e compagnia responsabile della distribuzione per Tromeo e Juliet (Kaufman e Gunn, 1996) e The Toxic Avenger (Herz e Kaufman, 1984).

 

Ultimo ma non meno importante è il Padrone, antagonista del mio romanzo La Falena uscito nel 2022. Ha creato una sostanza chimica che non si è fatto scrupoli a testare su animali e umani ma alla fine è impazzito. Mirco deve trovare la forza di affrontarlo prima di finire ucciso con i suoi amici. È disponibile su Amazon, dategli un’ occhiata se anche voi amate la scienza cattiva.

E anche per oggi vi ho detto tutto. Mi raccomando di leggere qualche buon libro e di restare connesso per le ultime novità. Alla prossima.

Alice Tonini 

 

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Storia del cinema horror: dai lupi mannari al Body horror. Due sottogeneri tutti da scoprire

Eccoci con un nuovo appuntamento con la storia del cinema horror. Il nostro escursus storico ora passa per i lupi mannari e il Body horror.

Il primo è un sottogenere molto conosciuto di cui abbiamo già ampiamente parlato in articoli precedenti quindi qui non approfondiremo troppo l’argomento, vi darò solo qualche spunto cinematografico, il secondo sottogenere sul Body horror è sottovalutato ma molto apprezzato.

La trasformazione del corpo umano è una delle idee base dell’horror e una delle prime a essere esplorate, a iniziare dall’opera di Stevenson Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde (Stevenson, 1886). 

Questa trasformazione avviene anche nel lupo mannaro ed è fisica e psicologica. Il lupo interiore proiettato all’esterno è stato interpretato da alcuni registi come segno della repressione sessuale della società come in L’uomo lupo (Waggner, 1941). Il lupo mannaro in quel film diventa una proiezione psicologica delle frustrazioni sessuali di Larry Talbot, il protagonista, nella sua relazione sentimentale. Nel film uscito in italia con il titolo Il bacio della pantera (Tourneur, 1942), la paura di Irena per la trasformazione in felino è manifestata con le numerose immagini dei gatti infilate qua e la dal regista. In compagnia dei lupi (Jordan, 1984) e nell’eccellente trilogia di Ginger Snaps o Licantropia (Fawcett 2000; Harvey 2004; Sullivan 2004) le trasformazioni diventano metafore della pubertà femminile. 

Negli anni settanta e ottanta la trasformazione del corpo umano viene messa in primo piano sulla scena, una scelta in parte dovuta ai progressi della scienza medica nel campo prostetico e robotico e in parte ai nuovi gusti del pubblico. Questo ha permesso a Rob Bottin e Rick Baker di produrre il loro lavoro migliore (L’ululato; Joe Dante, 1981). Una volta che viene lanciato il lavoro di Carpenter con il film La cosa (Carpenter, 1982) nel quale la bestia può trasformare praticamente in qualsiasi cosa, tutti i colpi di questo genere sono stati sparati.

Ma Carpenter non fu il primo a occuparsi del Body horror, prima di lui altri nomi importanti se ne sono occupati.

Un regista che ha consistentemente esplorato la vulnerabilità del corpo umano è David Cronenberg, i cui primi film Il demone sotto la pelle (Cronenberg, 1975), Sete di sangue (Cronenberg, 1976) e La covata malefica (Cronenberg, 1979) riguardano le trasformazioni che possono avvenire quando l’uomo si mette nelle mani della scienza. E allora possono nascere fenomeni come la telepatia, i disturbi indotti di natura sessuale e le mutazioni genetiche. 

Cronenberg è conosciuto anche come il re dell’horror legato al sesso o il principe canadese del body horror. Questo perchè all’epoca sviluppò una nuova forma di cinema, viscerale ma al tempo stesso letterale, adatta lavori di grandi scrittori come William Burroughs (Il pasto nudo, 1991 tratto dalla novella del 1959) e S.F. Master con J.G. Ballard (Crash, 1996 dall’opera del 1973) con una nuova estetica del corpo. I primi film di Cronenberg furono profetici. Il demone sotto la pelle anticipò l’epidemia di Aids mentre Videodrome (Cronenberg, 1983) predisse l’avvento della televisione satellitare che negli anni in cui fu girato il film era ancora in uno stato primitivo. Cronenberg studiò biochimica a Toronto ma successivamente cambiò facoltà e preferì iscriversi a letteratura inglese. Scrisse opere di fantascienza e il suo film più importante fu Scanners (Cronenberg, 1981) il quale predisse un futuro appestato dalla corruzione tecnologica. Conenberg manipola il disgusto con grande abilità non solamente per il puro gusto dell’orribile che ci causa emozioni negative. 

In riferimento a questi eccessi, come la donna con l’utero esterno in La covata malefica o l’uomo con un taglio simil-vagina nello stomaco in Videodrome il regista ci dice:

“E’ affascinante ma anche coraggioso guardare a cosa c’è davvero senza tirarsi indietro e riuscire ad ammettere che noi siamo fatti in questa maniera, a volte si può anche sostenere che essere strano ed essere disgustoso sembrano la stessa cosa.”

Una delle citazioni di Cronenberg più utilizzate è riportata da Eliot, uno dei ginecologi gemelli nel film Inseparabili (Cronenberg, 1988): “Io ho spesso pensato che ci devono essere concorsi di bellezza per ciò che sta dentro al corpo. Sai, la milza più bella, il rene più sviluppato.” 

Oggi Cronenberg si è spostato dal genere horror ma la sua sensibilità unica lo rende tutt’ora (ha parecchi anni ma è ancora vivo) uno scrittore e un regista iconico. 

E anche per oggi direi che è tutto. Vi ho consigliato un sacco di buoni film e un regista di notevole impatto sul grande schermo, come al solito vi consiglio anche la lettura di un buon libro che potrà farvi compagnia.

Alla prossima e per restare sempre aggiornati iscrivetevi alla newsletter.

Alice Tonini