Gridiamo più forte con Baldwin e gli afro-americani del secolo scorso

Bentornato, oggi torna la rubrica degli inviti alla lettura con la prima opera del nuovo genere che vi propongo.

 

 

 

Abbandoniamo il genere biografico e le autobiografie più famose e vendute al mondo per approcciare dei romanzi che ci portano in viaggio, più precisamente nei prossimi mesi parleremo di libri i cui protagonisti affrontano un viaggio di formazione per crescere sia all’interno che all’esterno e noi impareremo tramite il loro viaggio dell’ eroe.

Iniziamo da un’opera semi-autobiografica. Il titolo in italiano è Gridalo forte ma il titolo originale è Go Tell It on the Mountain che deriva da una canzone del genere “Negro Spiritual” o spiritualista negra (assolutamente intesa in modo spergiativo) perchè risale alle canzoni che gli schiavi cantavano nelle piantagioni di cotone per darsi forza e coraggio durante le massacranti ore che trascorrevano sotto il sole. Il ritornello dice “Go tell it on the mountain that Jesus Christ is born“. 

 

 

E’ un titolo molto evocativo per un libro. Il primo che Baldwin considerò fu In My Father’s House che allude a versi biblici “In my Father’s House are many Mansions “, una sola frase che cattura i conflitti principali dell’intera opera: la relazione turbolenta del protagonista con entrambi i padri sia quello naturale che quello celeste. Un conflitto religioso e di identità che accompagnano il protagonista per tutto l’arco narrativo.

Alcuni ipotizzano che Baldwin scelse il titolo Go Tell it on the Mountain in onore dell’improbabile villaggio Loeche les Bains sulle alpi svizzere dove scrisse la maggior parte del romanzo. In questo paesaggio di alabastro (frase di Baldwin) lui fu il primo nero in assoluto ad essere visto da molti dei residenti locali e rimase tappato in casa con la sua macchina da scrivere per mesi. Compose la storia di tre generazioni di afro americani nell’Harlem del 1935 e nei primi anni del ventesimo secolo nel sud degli Stati Uniti. Lucien Happersburger, suo amico e amante la cui famiglia possedeva una casa nel piccolo paese, persuase Baldwin ad essere accompagnato solo dalla sua Remington e le sue registrazioni della cantante Bessie Smith. Proprio come Edith Wharton sedette in rue de Rivoli a Parigi per scrivere di villaggi ricoperti dalla neve in Ethan Frome, così qui Baldwin utilizzò la distanza geografica per catalizzare e invocare la brillantezza semantica.

 

 

Come già vi ho anticipato si tratta di un opera parzialmente autobiografica, il passato dell’autore fu quindi un elemento nattativo fondamentale. Come Baldwin stesso, il personaggio principale John Grimes affronta il senso di alienazione dalla sua famiglia, la sua distanza dalla comunità religiosa ( la chiese pentecostale) e dalle aspettative familiari. La prima riga del libro porta subito conflitto: “Tutti hanno sempre detto che John sarebbe stato un prete una volta cresciuto, proprio come suo padre”. 

La struttura del romanzo rende gli sforzi di John con il suo senso di differenza e i suoi problemi con la questione della salvezza religiosa l’alpha e l’omega del libro (Baldwin tratta in modo innovativo i passi che portano alla conversione ispirandosi a Sant’Agostino e a Jonathan Edwards). Tra questi due conflitti c’è una sezione di tre parti incredibile chiamata Le preghiere dei santi dove il lettore entra nei pensieri e nelle memorie della zia apostata di John, del suo odioso padre e della sua sensibile madre le cui memorie di Richard, il suo primo tragico amore, sono per me la parte più emozionante del libro.

Preparatevi a questo romanzo con la lettura della raccolta di saggi Notes of a Native Son, dove ritroverete gli stessi temi trattati in modo più diretto. Qualsiasi cosa Baldwin abbia provato come adulto riguardo la sua discendenza e la sua gioventù, raggiunge tono e cadenza paragonabili alla traduzione della bibbia di re James. La dura vita in campagna e il bellissimo linguaggio da cittadino, sono due aspetti del romanzo che si completano l’un l’altro in modo magnifico. Troverete piacevole anche la descrizione di Langston Hughes che racconta storiacce di basso livello con una borsa di velluto.

E anche per questo invito alla lettura è tutto. 

Iscrivetevi alla newslwtter se ancora non l’avete fatto per restare sempre aggiornati sulle novità, alla prossima.

Classificazione: 0 su 5.

Web du Bois, la biografia di una razza: 1868-1919. Un lungo progetto che racconta una vita straordinaria

 Oggi vi porto un’altra biografia tra le più vendute e le più premiate al mondo,
ovviamente parliamo ancora di un personaggio afro-americano molto
famoso in patria la cui vita e i cui studi sono ancora oggi oggetto di dibattito. Proprio
in questi giorni è uscito un articolo che parla del ruolo fondamentale degli studi di Du
Bois per gli afro-americani sul sito Literary Hub ( adoro questo sito.)

Il biografo David Levering Lewis ha impiegato cinque anni per
portare a termine il progetto di questa biografia: W.E.B. Biography of a race 1868- 1919. Il primo volume,
quello che tratteremo qui, è uscito otto anni dopo la fine del progetto. Altri sette anni
trascorsero prima che il pubblico potesse vedere W.E.B. Du Bois: The
Fight for Equality and the American Century, 1919-1963.
Nonostante la
lunga gestazione questa splendida biografia ci permette di conoscere un uomo la cui vita fu lunga (visse 95 anni) e ricca di eventi e di cui in Italia si parla solo nelle università. Ogni volume vinse il premio
Pulitzer per la migliore biografia e oggi potete trovare i due volumi uniti in uno singolo, anche se il prezzo è un po’ alto. Lewis in più ricevette un
MacArthur “Genius” appena dopo la pubblicazione del primo volume.

I sottotitoli dei due volumi suggeriscono la fiducia dell’autore
nel proprio approccio sistematico. Infatti ci permette di guardare a
Du Bois (pronuncia alla francese, please!) come una persona
talentuosa e inusuale e un uomo la cui esistenza influenzò lo status
degli africani d’america in modo determinante. Du Bois, come autore
dell’insostituibile libro The Souls of Black Folk (1903), formulò il
concetto di identità duale – intendendo sia nero sia americano.
Oggi si usa quasi senza pensarci ma Du Bois fu il
pioniere di questo concetto e identificò il fenomeno scrivendoci
sopra due righe (lui per primo usò il termine “the talented
tenth”, per definire qualche anno più tardi, l’uomo eccezionale
che appartiene alla razza che filtra la cultura verso il basso).
Lewis descrisse l’effetto delle quattordici presentazioni del libro
che l’autore fece negli Stati Uniti e che lui paragona a “fuochi
d’artificio che esplodono in un cimitero”. La sua analisi del libro
di Du Bois di una ventina di pagine aiuta ogni lettore ad apprezzare
“la trascendente passione intellettuale e la prosa luminosa”
(anche la prosa di Lewis è aggraziata ma la sua scelta del lessico
aulico e arzigogolato rende la lettura lenta e adatta ad un pubblico
colto).

In questo primo volume, ci viene raccontato della
giovinezza di Du Bois, i primi anni trascorsi a Great Barrington in
Massachusetts, e la sua colta educazione: il Fisk College in
Tenessee, i suoi primi contatti con il sud, il college di Harvard (si
trasferì li come junior) e l’università di Harvard dove fu il primo
afro-americano a laurearsi. I suoi incredibili risultati continuarono
nel mondo del lavoro quando fondò il dipartimento di sociologia
nell’università di Atalanta. Lewis ci da dettagli meticolosi dello
scontro di ideali tra Du Bois e Booker T. Washington e l’impegno per la fondazione del NAACP e per la pubblicazione del suo giornale
The Crisis. Questo è indicativo dell’importanza del personaggio e
del suo lavoro ancora oggi.

Se Lewis dedicò molta più attenzione alla vita pubblica del suo
soggetto rispetto a quella privata lo stesso è vero per Du Bois
stesso, e il suo biografo non ha fatto tentativi di coprire le sue
colpe come marito e come padre.

Sulle spalle della figlia Du Bois fece cadere grandi aspettative dopo che il figlio di due anni perse la vita. Nel 1914 la tredicenne
Yolanda fu imbarcata per Bedales, la prima scuola co-educazionale
fondata in Inghilterra dove sia lei che la madre (che all’epoca
viveva a Londra) restarono per vivere anni di miserie e
solitudine. Lewis senza censure conclude dicendo, “Ci furono solo
parti insignificanti disponibili per Nina e Yolanda nella vita di du
Bois.”

Il primo volume si chiude con la terribile “Estate rossa” del
1919. Dopo 78 linciaggi nel 1918, una ondata di violenza razzista
senza precedenti investe la comunità nera con uomini seviziati e
aggrediti mentre tornavano a casa dal lavoro. Du Bois sapeva di
essere a un punto di non ritorno per la battaglia dell’uguaglianza
sociale. Anche se lui non visse abbastanza per vedere il frutto delle
campagne per i diritti umani degli anni ’60, organizzò una uscita
simbolica teatrale. Lewis apre il suo volume meravigliosamente con le
notizie della fine della vita di Du Bois. Il 28 Agosto 1963 una folla
di 250.000 persone al Reflecting Pool a Washington, appena prima
dello storico discorso di Martin Luther King Jr. assistette
all’annuncio di Roy Wilkins della morte del nostro protagonista di
oggi.

Bene, e anche per oggi è tutto! 

Buona lettura e alla prossima.