Scrivere una ambientazione horror: tra vecchi clichè e nuove mode che piacciono al pubblico

 Benvenuto lettore dell’ignoto, oggi per te c’è una sorpresa imperdibile: un articolo che parla del nostro genere preferito e delle ambientazioni che registi e scrittori prediligono quando devono costruire le loro storie.

Impostare l’ambientazione per l’horror è deliziosamente divertente ed evocativo, se ami il genere questo articolo ti darà soddisfazione.

 Oscurità e ambienti notturni sono locations ovvie usate fin dalle prime opere della tradizione gotica, in quei primi libri come Dracula (Bram Stocker, 1897) o film come Nosferatu (Murnau, 1922) o Il castello maledetto (Whale, 1932) è l’oscurità che rende la sensazione di mistero. Quello che il pubblico vuole conoscere è li, ma non lo vede, e questa ancora oggi rimane una delle tecniche più efficaci per creare spavento. Una stanza stretta e non illuminata causa le palpitazioni, così come gli spazi talmente affollati da impedire qualsiasi movimento, gli armadi dove trovare rifugio o tirarsi le coperte sopra la testa. Non faticherete a richiamare alla mente scene di libri o film con vecchie stanze buie con angoli pieni di ragnatele e castelli dagli alti soffitti, sono location tipiche per gli horror girati tra il 1930 e il 1940.

 

 

L’oscurità è un clichè ampiamente utilizzato ancora oggi ma non è l’unico elemento ambientale che può seminare incertezza, possiamo utilizzare anche grandi palazzi abbandonati, vuoti e deserti. Nessuno è mai riuscito a replicare con la stessa efficacia i  corridoi deserti e infiniti dell’Overlook Hotel che troviamo in The Shining (Stephen King, 1977 – Kubrick, 1980), e quei grandi, vecchi appartamenti dalle stanze vuote di cui fa grande utilizzo Polanski in Repulsion (Polanski, 1965) e Rosemary’s Baby (Polanski, 1968).

 E che dire delle strade nebbiose della vecchia città di Londra che sono il marchio di fabbrica di Werewolf of London (Walker, 1935). Le troviamo anche in Jack lo squartatore (Franco, 1976) e Sweeney Todd (Tim Burton, 2007), così come le colline nebbiose del nord dell’inghilterra fanno la loro spaventosa apparizione in An American Werewolf in London (John Landis, 1981). La nebbia è stata usata in ogni film del nostro Mario Bava: è facilmente identificabile come un altro dei clichè dell’horror ma non va mai sottovalutato il suo effetto sul pubblico, che siano lettori o spettatori. Tutti riusciamo ad immaginare il nostro punto di vista (ad esempio possiamo utilizzare Antonio) che cammina, in un cimitero avvolto dalla nebbia, facendo attenzione a dove mette i piedi, la forma degli oggetti attorno a lui è indefinita e può rimanere oscurata nella percezione dell’ambiente. Nei film è molto utilizzata la fotografia in bianco e nero perchè il regista può nascondere ogni cosa tra le sfumature dei grigi e le ombre nere e tenerla pronta per uscire in ogni momento ad aggredirci come in La notte del Demonio (Tourneur, 1957). Nebbia e vapore sono elementi così onnipresenti nelle opere che hanno libri e film a loro dedicati come The Fog (Carpenter, 1980) e The Mist (Stephen King, 1980 adattato a opera cinematografica da Darabont, 2007).

 

 

Un’altra ambientazione classica che adoro è quella della casa infestata, anche questa è adattabile all’infinito. Non c’è bisogno di essere ad Amitiville o in Elm Street per suscitare il terrore in un ambiente chiuso circondati da rumori sinistri. Io con il mio romanzo Il richiamo ho utilizzato una vecchia casa ma Ridley Scott la piazza nello spazio nel suo film Alien (Scott, 1979) creando un ambiente incredibile con l’aggiunta di tubi industriali, catene vibranti, e condotte con acqua gocciolante. Questa idea fu replicata in Event Horizon (Anderson, 1997), ma puo essere una postazione scientifica isolata tra i ghiacci dell’artico come in La cosa (Carpenter, 1982) o un piccolo rifugio tra le montagne come Quella casa nel bosco (Goddard, 2012), La casa (Raimi, 1981), Timber Falls (Giglio, 2007- inedito in italia) o Wrong Turn – Il bosco ha fame (Schmidt, 2003).

L’oscurità rappresenta l’infinito così come le foreste che si perdono a vista d’occhio. Libri o film ambientati in lussureggianti foreste tropicali o in oscuri boschi dove i personaggi sono isolati dal resto del mondo. Foglie verdi, rami secchi, terra e fango a prima vista sembrano sempre gli stessi elementi universali che richiamano la forza terribile della natura, ma forse è proprio per questa sensazione di innocente devastazione che ci sono così tante opere dove ragazze infilate in t-shirt aderenti fuggono dal cattivo correndo attraverso un bosco. The Blair Witch Project (Myrick e Sanchez, 1999) fa un uso superbo di questo senso di foresta infinita nel nulla, di disperazione e solitudine.

 

 

La stessa cosa possiamo dire per la gelida neve che trasmette la sensazione di desolazione. E’ incontaminata e pulita ma può anche accecare durante una tempesta. Nei film è poco utilizzata per via dei costi, ma può essere un buon elemento da inserire per separare i protagonisti tra loro o dalla società civilizzata. Un esempio può essere Misery (Stephen King, 1987 – Reiner, 1990), The Shining (Stephen King, 1977 – Kubrick, 1980) e il più recente Dead Snow (Wirkola, 2009), La cosa (Van Hejiningen Jr., 2011) e Let the ring one in (Alfredson, 2008), riproposto negli US come Let me in (Reeves, 2010).

Il deserto selvaggio e spietato funziona altrettanto bene, abbiamo Wolf Creek (McLean, 2005) e Le colline hanno gli occhi (Aja, 2006). Possiamo anche abbandonare la terra con i suoi climi estremi e ambientare le vostre opere negli oceani infiniti. L’effetto sarà lo stesso. Chi di voi non ha mai visto Lo squalo (Spielberg, 1976) le cui riprese presero un sacco di tempo perchè l’acqua modificava di continuo il colore della pellicola, ma possiamo citare un sacco di film (più o meno riusciti) girati interamente al mare dalla metà degli anni duemila, incluso Open Water (Kentis, 2003), e Triangle (Smith, 2009). 

Il mare nei libri è spesso elemento destabilizzante o portatore di caos, vedi Hodgson apprezzato autore horror con addirittura tre raccolte di racconti ambientati al mare: Terrore dagli abissi/ Acque profonde/ I demoni del mare (W.H.Hodgson, 2015 2018 2022).

 

 

Non abbiamo ancora finito. Fino a ora non abbiamo menzionato le grandi città, le metropoli. L’infinita giungla umana che viene compressa e relegata nelle più abbiette zone industriali abbandonate. L’urban horror le sfrutta da tempo immemorabile, e allora supntano i luoghi alienanti e i quartieri pericolosi dove fare incontri inaspettati. Distretto 13 – Le brigate della morte (Carpenter, 1976) ridefinisce gli spazi comuni urbani abbandonati e li rende un ottimo materiale per un urban horror. Un altro film interessante è Candyman (Bernard Rose, 1992) che mescola centro e periferia di una grande città; la sfida dell’urban è stata raccolta dall’horror europeo con La Horde (Dahan e Rocher, 2009), Outcast (Mc Carthy, 2010) e Attack the Block (Cornish, 2011). Nei romanzi le grandi città sono presenti in ogni opera ma vi cito L’ombra dello scorpione (Stephen King, 1994) perchè la visione post-apocalittica del maestro delle città grandi e piccole è davvero interessante. Poi può capitare che il nostro protagonista lasci la grande città per raggiungere la casa in campagna, e allora c’è Black Sheep (Stephen King, 2006), Isolation (O’Brien, 2006) e Calvaire (Du Weiz, 2004), tutte opere che si nutrono o nascono dalla solitudine, dall’isolamento e dal sesso.

Di sicuro sarete d’accordo con me quando dico o che lo stato nel genere horror ruota attorno all’immorale, alla sporcizia e all’incapacità dell’uomo di vedere cosa si nasconde davanti a lui. A volte sembra che registi e scrittori diventino saggi in ritardo, le nuove tecnologie digitali arrivano tardi a illuminare le opere, spesso viene sottovalutata la loro capacità di rendere il grottesco e il sanguinolento il più sporco possibile, e non parlo solo di film come Hostel (Roth, 2005) e Saw (Wan, 2004)  ma anche anche nelle trame dei libri. Comunque se vogliamo approfondire l’aspetto legato agli effetti speciali nei film si è diffuso l’utilizzo dei fogli di plastica dalle qualità opacizzanti per coprire i peccati dei personaggi, un buon esempio può essere H6: Diario di un assassino (Barón, 2005) o La casa della peste (Radclyffe, 2008). Entrambe le pellicole utilizzano fogli di plastica appesi nelle stanze per creare ombre indefinite e l’effetto di straniamento. Allo stesso modo le tende di palstica che circondano i letti d’ospedale possono nascondere molti peccati come nella già citata saga di Saw o Planet Terror (Rodriguez, 2007) e naturalmente non posso non citare le tende della doccia del progenitore del nostro genere preferito Psycho (Hitchcock, 1960).

 

Noi scrittori possiamo fare molto, dobbiamo aiutare il pubblico a immergersi nelle storie. Quando abbiamo l’opportunità di descrivere un luogo o di creare una ambientazione, una carneficina o di descrivere i sussurri pericolosi del soprannaturale, l’effetto che dobbiamo usare, i dettagli che dobbiamo inserire devono essere i migliori. Essere in grado di preparare una scena e renderla istantaneamente fonte di disagio è vitale sin dalle prime pagine.

Una volta impostato l’ambiente l’arco di trasformazione del personaggio procede più o meno cosi:

Qualcuno è messo in difficoltà da qualcosa di sconosciuto. Ovviamente prima di poterlo affrontare direttamente deve capire che si tratta di “qualcosa di sconosciuto”. Poi deve capire come la cosa sconosciuta opera e fare dei tentativi per sconfiggerla. Prima tenterà di sconfiggere il “qualcosa di sconosciuto” con i mezzi a disposizione, ma questo non sarà abbastanza perchè in questo modo non si potrà affrontare. Per scoprire cosa può sconfiggere il “qualcosa che non è più sconosciuto” il nostro protagonista deve avventurarsi nei territori dove l’inconoscibile è di casa. Se riuscirà ad apprendere e ad agire come agisce lo sconosciuto allora avrà una possibilità di vittoria, altrimenti verrà sconfitto. Il “qualcosa” poi cercherà un altra vittime.

Ok, si tratta di una semplificazione estrema ma serve per farvi capire il ruolo dell’inconoscibile nell’horror. Lo sconosciuto è il cuore dell’horror e questo è quello che  guida i personaggi nella molteplicità e nella pazzia, nella psicopatologia di un serial killer o nella forza mostruosa di un demone, nella follia di un tormento paranormale e tra gli artigli dell’oscurità. L’horror è un genere che per essere apprezzato (se è la parola giusta) vuole un pubblico aperto all’improbabile, all’impossibile e al fantastico. È un genere popolare tra i giovani assieme al fantasy e alla fantascienza ma non è solo per loro.

 

 

Questo perchè l’adolescenza è particolarmente influenzabile, non è ancora pienamente matura, non ha stabilito una routine di lavoro e vive in un movimento costante tra il restare a casa e andarsene per la propria strada. I giovani hanno ancora a disposizione la fantasia dei bambini, dove ogni storia può essere vera, ma lo stato gioioso ora si scontra con i limiti morali e tangibili della vita. Cercano di capire loro stessi come entità separata dalla famiglia e di stabilire un ruolo tra il gruppo dei pari. Ai giovani non importa nulla dei mostri spaventosi che possono prenderli.

Hanno anche una relazione diversa con la morte. C’è la possibilità che non abbiano mai perso una persona cara, un amico o un partner, oppure che non abbiano mai assistito ad una vera scena scioccante come un incidente d’auto o un incendio. In questa fase sono protetti dal mondo del dolore e del terrore, dalla paura e dalla rabbia. Per quelli che hanno avuto questo genere di esperienze sono cose di cui sperano di liberarsi presto. L’agonia di una malattia che si protrae nel tempo o la frustrazione fisica e mentale del declino che l’età richiede a tutti noi sono davvero molto dolorose, troppo reali per un horror, e rimangono materiale per i film mainstream o satirici della settimana e per le sere davanti alla tv. 

 

 

 

I giovani sono invincibili. Forse è per questo motivo che nei film e nei libri li vediamo provare a bere, fumare spinelli e correre rischi non necessari. Lo sanno meglio di tutti. La morte per loro non arriverà presto, e se dovesse presentarsi alla porta ci sarà uno scontro interessante. I corpi giovani sono forti e sopportano le privazioni, le intossicazioni e le punizioni fisiche. Non è per loro la vergogna del recupero, il desiderio bruciante di riprendersi e riempirsi lo stomaco di brodo caldo, vitamine, vino e cioccolata. Possono anche guardare la morte in faccia e riderci su, questo forse è il motivo per cui Final Destination (Wong, 2000 ) è una serie di film di successo, divertenti e deliziosi. I ragazzi guardano Victor Crowley tagliare un uomo a metà o Leatherface smembrare la sua ultima vittima e non provano nulla. Non è sociopatia (non tutti i giovani sono sociopatici) ma la loro parziale esperienza della vita li rende meno influenzabili dagli elementi horror. Le reazioni ad una scena di evisceramento possono essere molto diverse dall’horror rispetto a quando si guarda una operazione chirurgica in una soap opera in tv. L’horror mette in gioco l’empatia e la repulsione, ogni elemento concorre a quello scopo in opere come Cannibal Holocaust ( Deodato, 1980), Martyrs (Laugier, 2008) oppure alla riduzione di ogni cosa all’assurdo come in The Human Centipede (Six, 2009).

La credenza che ogni azione di un teenager resti impunita è il cuore di molti scherzi e goliardate ed è un buon elemento degli Slasher. Non solo è emozionante vedere il serial killer in azione ma ci divertiamo a seguire il gruppetto di teenager che si comporta in modo irresponsabile e li condanniamo: “Io non farei mai uno scherzo del genere nella vasca della doccia.” pensa lo spettatore a mente fredda nei cinema. Si tratta di un modo facile per arrivare al cuore della vicenda, la nostra brava ragazza che fugge dall’assassino e gli stupidi del gruppo che vengono decimati. Tutto molto prevedibile, no? Gioiamo quando questi personaggi inetti sono decapitati, mutilati, castrati o feriti e distrutti, condannati come maschi alpha a regredire come uomini di Neanderthal e ci sentiamo appagati dal nostro senso di conoscenza superiore e di proprietà. Questa è la catarsi negli horror. Vediamo lo scherzo e ci preoccupiamo per l’agnello sacrificale. Se la scena è fatta bene il pubblico sente un antagonismo tangibile verso il bullo fastidioso e la sua dipartita sarà accompagnata da un sospiro di sollievo.

 

 

 

Però abbiamo detto anche che l’horror non è interamente nelle mani dei giovani. Molti film hanno sbancato il botteghino come Paranormal Activity (Peli, 2007) The Blair Witch Project (Sanchez, 1999) Il sesto senso (Shyamalan, 1999 ) The Omen (Donner, 1976) e L’esorcista (Friedkin, 1973). Questi horror sono psicologicamete e intellettualmente profondi, ci pongono domande sulla nostra esistenza, sulla realtà e sul subconscio delle cose. Dipingono gli adulti in ruoli di leadership piuttosto che i teenagers, un modo per incoraggiare anche chi ha qualche anno in più a guardarli. 

L’horror piace al pubblico e piace agli attori e alle case de produzione. A volte il film è pubblicizzato come l’opera di Jodie Foster o con la partecipazione di Julianne Moore per attirare l’attenzione. Evan Mac Gregor può essere citato con Adrian Brody, Melissa George e Sarah Michelle Gellar e hanno ricoperto molti ruoli importanti. Bruce Willis dopo un solido inizio negli action movie in Tv, è apparso in modo costante in progetti interessanti incluso il Sesto Senso ( Shyamalan, 1999 ) e Twelve Monkeys (Gilliam, 1995). Comunque gli attori molto famosi (vedi Jack Nicholson in Wolf (Nichols, 1994)) o Sir Anthony Hopkins in The Rite (Hafstrom, 2011)  tendono a sbilanciare la storia e possono arrivare a togliere ogni credibilità (vedi Nicholas Cage con il suo film apocalittico, o con qualsiasi altro film…). Come una sitcom, l’horror deve creare le proprie stelle. 

 

 

Ci sono legioni di attori che iniziano la carriera nell’horror. Nessuna vergogna per mr Clooney a recitare in pellicole come Attack of the killer Tomatoes (De Bello, 1978), o nell’essere il primo ragazzo che muore in Nightmare on Elm Street (Craven, 1984) per il nostro Johnny Depp. Alcuni restano fedeli al genere per gran parte della loro carriera (Robert Englund, Christopher Lee) altri continuano ad accettare parti negli horror quando trovano opere che gradiscono (Donald and Keifer Sutherland). Purtroppo non stà agli sceneggiatori dettare le regole del gioco quando arrivano personaggi famosi nel casting. Se hai venduto il tuo manoscritto ed è stato coinvolto un grande nome uno sceneggiatore può festeggiare ed essere triste allo stesso modo perchè è sicuro che dovrà riscrivere buona parte della sua opera per adattarla alle richieste del grande attore. Ma questa è un altra storia.

E anche per oggi abbiamo terminato. Caro lettore dell’ignoto spero di non averti annoiato a morte con il mio fiume di parole ma l’horror per me è estremamente evocativo. Ti auguro una buona lettura e alla prossima!

Alice Tonini 

 

Classificazione: 0 su 5.

A chi non piace un bel film Slash?

Ed eccoci oggi all’ultimo appuntamento, per ora, con il cinema horror e i suoi sottogeneri. Non potevo che finire con il mio genere preferito: gli slasher.

Gli Slasher o i film chiamati anche Stalk e Slash sono i più difficili da affrontare tra tutti i sottogeneri a causa della marea di cliché che li circonda, ma è anche il genere con cui l’industria cinematografica ha fatto i soldoni, tanti soldoni. Ed è il genere che ha creato personaggi iconici come Michael Myers o Freddy Krueger. E il ragazzo frustrato, quello moro, che nei film riceve  sempre la notizia peggiore e se ne dispera.

Il nostro ragazzone è già pronto!

 

L’inizio del genere può essere fatto risalire agli anni ’70 circa con Black Christmas – Un natale rosso sangue (Bob Clark, 1974) ma la sua popolarizzazione arriva senza dubbio con Carpenter e l’iconico Halloween – La notte delle streghe (Carpenter, 1978) il genere ha preso piede negli anni ’80 con filmoni e sequel come Nightmare on Elm Street  e Venerdì 13. Oggi entrati nella storia del cinema.

A questi seguono film di seconda fascia fatti solo per gli incassi come Sleepaway Camp (Hiltink, 1983) e Prom night (Lynch, 1980), i quali non aggiungono nulla al genere. E potremmo rimanere qui a citarne a decine di questi sottoprodotti.

 

 

L’introduzione di VCR e VHS, le famose videocassette, significa che l’orrore non resta più confinato nei cinema e può aggirarsi per le case garantendo notti insonni e rumori inquietanti a tutti.

Negli anni ’90 arriva Kevin S.Willamson con Scream (Craven, 1996) introducendo una nuova icona indimenticabile: Ghostface. Un personaggio post moderno che porta ironia, in un sottogenere all’epoca stanco e demotivato, che uccide le star come Drew Barrimore e i primi quindici minuti del film sono uno storico omaggio a Psycho. In quel momento il gioco degli slasher diventa quello di sovvertire il film di paura tradizionale ribaltando i cliché e peccato che come al solito i sequel, Scream II (Craven, 1997) e seguenti, risultino un po’ piatti. Gli imitatori sono arrivati con I know What you did last Summer (Gillespie, 1997) e Urban Legend (Blanks, 1998).

 

 

La teorica femminista Carol Clover scrisse un trattato sul genere Slasher intitolato “Men, women and Chainsaws” (Clover, 1992), nel quale lei crea la teoria della ragazza finale.

L’autrice descrive la ragazza che sopravvive al massacro del nostro killer definendola come l’investigatrice coscienziosa del film, l’unica che mostra intelligenza, curiosità e che resta vigile durante tuttol’arco narrativo. Di solito le viene affibiato un nome americano unisex tipo Laurie o Sidney, è spesso vergine o si comporta con i ragazzi in modo morigerato, non interessato o non disponibile al sesso, all’opposto dei suoi compagni/amici (da qui arriva l’idea errata che negli horror il sesso sia connesso alla morte del personaggio). Di solito è connessa al killer a causa della sua famiglia o degli ambienti che frequenta, e nel corso dell’azione si mascolinizza impossessandosi di un arma (simbolo fallico) appropriata con la quale fare fuori l’assassino di turno.

Per arrivare alle fasi finali deve essere a conoscenza del male, lo spettatore deve avere l’impressione che lei sia sommersa dal male, psicologicamente ma spesso anche fisicamente entrando nel campo di caccia del killer (case infestate, cimiteri abbandonati etc.). Ci sarà sangue e fango e fluidi vari per replicare il liquido amniotico. Ci sarà una morte simbolica e una rinascita in un tunnel o simil tale. In Halloween (Carpenter, 1978) l’utero è una credenza con una porta a doghe: per alcune ragioni (come si nota  in Behind the mask: the rise of Leslie Vernon 2006 di Scott Glosserman, i serial killer in questi film sono spaventati dagli sportelli di legno delle credenze.

 

 

La nostra ragazza finale deve essere femmminile perchè deve affrontare e sostenere il rigetto psicologico del terrore che in un qualche modo il mondo maschile non può tollerare. Nei fatti il suo genere può essere abbastanza fluido. E’ una specie di maschiaccio, mai una sgualdrina ( quella di solito è bionda e cheerleader), e lontana anni luce dall’idea degli anni ’50 di eroina bisognosa di aiuto e di un eroe/principe azzurro. In questo modo Clover sostiene che la sua fluidità di genere combinata con la mascolinità estrema del killer illustra l’impatto del femminismo sulla cultura popolare.

Ovviamente si tratta di una teoria che è stata molto discussa, ha i suoi pro e i suoi contro. Non ve la presento per verità assoluta ma ognuno di voi è libero di trarre le proprie conclusioni.

Molti scrittori, registi e produttori sono consapevoli delle regole scritte o meno del genere Slasher e negli ultimi dieci anni sono stati fatti diversi tentativi per cercare di evitare l’ovvio e sovvertire le regole. All the boys love Mandy lane (Ievine, 2006) è un esempio da medaglia d’argento: una caratterizzazione forte dei personaggi, molti buchi nella trama ma una rivelazione finale che delizia (e annoia allo stesso tempo). Teeth (Lichetenstein, 2007) nonostante sia qualcosa di più di una pellicola comica dalle tinte dark riprende i film degli anni passati (abbiamo già parlato di un film dove compare una vagina dentata) e ha anche una protagonista femminile forte. In Cabin Fever di Eli Roth (Roth, 2002) tutti i personaggi sono intenzionalmente spiacevoli, così non ci dispiace se le donne si ammalano.

Gli Slasher hanno attraversato la loro fase rococò e ora sembrano in un momento di stasi ad eccezione di parodie, omaggi, prequel e sequel poche pellicole colpiscono per elementi innovativi e originali (Hatchet; Green 2006).

 

 

Comunque la pensiate si applicano ancora due fondamentali regole: la giovane protagonista forte è adattabile ad entrambi i sessi e seconda regola fondamentale la ragazza carina con la maglietta bianca o khaki e il seno prosperoso attrae sempre fidanzati facoltosi e  popolari (magari giocatori di football). Voi che dite?

E anche per questo sottogenere abbiamo finito e salutiamo il cinema horror. Spero abbiate trovato divertenti gli articoli dedicati, d’altronde io sono qui proprio per questo, e ci vediamo alla prossima.

Nel frattempo non dimenticatevi di leggere un buon libro, ogni anno ne vengono pubblicati più di 90.000 solo in Italia. Vi sfido a trovarne almeno uno che vi piaccia. Date una possibilità anche ai miei romanzi e iscrivetevi alla newsletter per tenervi sempre aggiornati.

Alice Tonini

Classificazione: 0 su 5.

Storia del cinema horror: dai lupi mannari al Body horror. Due sottogeneri tutti da scoprire

Eccoci con un nuovo appuntamento con la storia del cinema horror. Il nostro escursus storico ora passa per i lupi mannari e il Body horror.

Il primo è un sottogenere molto conosciuto di cui abbiamo già ampiamente parlato in articoli precedenti quindi qui non approfondiremo troppo l’argomento, vi darò solo qualche spunto cinematografico, il secondo sottogenere sul Body horror è sottovalutato ma molto apprezzato.

La trasformazione del corpo umano è una delle idee base dell’horror e una delle prime a essere esplorate, a iniziare dall’opera di Stevenson Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde (Stevenson, 1886). 

Questa trasformazione avviene anche nel lupo mannaro ed è fisica e psicologica. Il lupo interiore proiettato all’esterno è stato interpretato da alcuni registi come segno della repressione sessuale della società come in L’uomo lupo (Waggner, 1941). Il lupo mannaro in quel film diventa una proiezione psicologica delle frustrazioni sessuali di Larry Talbot, il protagonista, nella sua relazione sentimentale. Nel film uscito in italia con il titolo Il bacio della pantera (Tourneur, 1942), la paura di Irena per la trasformazione in felino è manifestata con le numerose immagini dei gatti infilate qua e la dal regista. In compagnia dei lupi (Jordan, 1984) e nell’eccellente trilogia di Ginger Snaps o Licantropia (Fawcett 2000; Harvey 2004; Sullivan 2004) le trasformazioni diventano metafore della pubertà femminile. 

Negli anni settanta e ottanta la trasformazione del corpo umano viene messa in primo piano sulla scena, una scelta in parte dovuta ai progressi della scienza medica nel campo prostetico e robotico e in parte ai nuovi gusti del pubblico. Questo ha permesso a Rob Bottin e Rick Baker di produrre il loro lavoro migliore (L’ululato; Joe Dante, 1981). Una volta che viene lanciato il lavoro di Carpenter con il film La cosa (Carpenter, 1982) nel quale la bestia può trasformare praticamente in qualsiasi cosa, tutti i colpi di questo genere sono stati sparati.

Ma Carpenter non fu il primo a occuparsi del Body horror, prima di lui altri nomi importanti se ne sono occupati.

Un regista che ha consistentemente esplorato la vulnerabilità del corpo umano è David Cronenberg, i cui primi film Il demone sotto la pelle (Cronenberg, 1975), Sete di sangue (Cronenberg, 1976) e La covata malefica (Cronenberg, 1979) riguardano le trasformazioni che possono avvenire quando l’uomo si mette nelle mani della scienza. E allora possono nascere fenomeni come la telepatia, i disturbi indotti di natura sessuale e le mutazioni genetiche. 

Cronenberg è conosciuto anche come il re dell’horror legato al sesso o il principe canadese del body horror. Questo perchè all’epoca sviluppò una nuova forma di cinema, viscerale ma al tempo stesso letterale, adatta lavori di grandi scrittori come William Burroughs (Il pasto nudo, 1991 tratto dalla novella del 1959) e S.F. Master con J.G. Ballard (Crash, 1996 dall’opera del 1973) con una nuova estetica del corpo. I primi film di Cronenberg furono profetici. Il demone sotto la pelle anticipò l’epidemia di Aids mentre Videodrome (Cronenberg, 1983) predisse l’avvento della televisione satellitare che negli anni in cui fu girato il film era ancora in uno stato primitivo. Cronenberg studiò biochimica a Toronto ma successivamente cambiò facoltà e preferì iscriversi a letteratura inglese. Scrisse opere di fantascienza e il suo film più importante fu Scanners (Cronenberg, 1981) il quale predisse un futuro appestato dalla corruzione tecnologica. Conenberg manipola il disgusto con grande abilità non solamente per il puro gusto dell’orribile che ci causa emozioni negative. 

In riferimento a questi eccessi, come la donna con l’utero esterno in La covata malefica o l’uomo con un taglio simil-vagina nello stomaco in Videodrome il regista ci dice:

“E’ affascinante ma anche coraggioso guardare a cosa c’è davvero senza tirarsi indietro e riuscire ad ammettere che noi siamo fatti in questa maniera, a volte si può anche sostenere che essere strano ed essere disgustoso sembrano la stessa cosa.”

Una delle citazioni di Cronenberg più utilizzate è riportata da Eliot, uno dei ginecologi gemelli nel film Inseparabili (Cronenberg, 1988): “Io ho spesso pensato che ci devono essere concorsi di bellezza per ciò che sta dentro al corpo. Sai, la milza più bella, il rene più sviluppato.” 

Oggi Cronenberg si è spostato dal genere horror ma la sua sensibilità unica lo rende tutt’ora (ha parecchi anni ma è ancora vivo) uno scrittore e un regista iconico. 

E anche per oggi direi che è tutto. Vi ho consigliato un sacco di buoni film e un regista di notevole impatto sul grande schermo, come al solito vi consiglio anche la lettura di un buon libro che potrà farvi compagnia.

Alla prossima e per restare sempre aggiornati iscrivetevi alla newsletter.

Alice Tonini

Cinema horror e stregoneria: da Aleister Crowley alle streghe di Eastwick

Oggi riprendiamo la nostra esplorazione dei sottogeneri del cinema horror e uno dei più diffusi è sicuramente quello delle streghe e dei loro patti con il male. 

Il demonio è protagonista da tempo della storia del cinema; dai
primi esperimenti di Georges Melies, alla versione de Lo studente di Praga di Poe interpretata da Paul Wegener (Rye and Wegener, 1913) fino al Faust di F.W.Murnau. Ne Il Gatto Nero (Ulmer, 1934) Boris Karloff recita la parte di un sacerdote in un culto satanico e più tardi Val Lewton produsse La
Settima Vittima
(Robson, 1943), che secondo la critica ha posto le radici per la figura del demonio
moderno che ha la missione di convertire gli scettici. Jaques Tourneur con il
suo eccellente Night of the Demon (Tourneur, 1957) porta sul grande schermo un
personaggio reale e dal nome familiare a tutti quelli che si sono interessati alla storia delle arti oscure almeno una volta: Aleister Crowley, conosciuto come “La grande
bestia” (1875-1974). Nessun lavoro sul satanismo o sulla stregoneria è
completo senza un riferimento a lui.

Nato nel 1875 e figlio di un facoltoso birraio, Crowley divenne un
membro influente di una delle società magiche più importanti della sua epoca: L’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata o Golden Dawn. Lui fu un poeta, un artista, uno sportivo e un
abusatore di droghe. Raccontò di essere stato contattato da un sacro
guardiano angelico durante i suoi viaggi in Egitto e che questi gli dettò il
libro della legge con il motto “Do what thou wilt, shall be the whole
of the law” (fai quello che vuoi, dovrebbe essere l’unica legge) una chiamata alle armi per i libertini di ogni dove, tra cui raccolse ampi consensi quando nel 1960 uscì la sua pubblicazione più conosciuta sulla magia e l’occultismo. Scrisse decine di libri sui temi più disparati: meditazioni, trattati, preghiere e saggi su occulto, arti esoteriche e alchimia.

Crowley fondò la sua personale filosofia e società dell’occulto, l’Oto (Ordine del Tempio Orientale) che fu pansessuale e coinvolse in
modo pesante l’uso di sostanze stupefacenti. Durante la sua vita divenne un personaggio famoso, conosciuto come il più importante stregone del mondo e nel 1932 portò in tribunale chi lo aveva definito mago nero (perse
la causa). Il giudice Mr Justice Swift disse “ io non ho mai udito
di cose più paurose, orribili, blasfeme e abominevoli come quelle dette da quest’uomo: mr Crowley”.

Verso la fine della sua vita dalla sua villa in Italia iniziò la vendita di un tonico chiamato “L’elisir del
Dr.Crowley” delle “pillole di vita“ che contenevano un mix di semi di chalk (una pianta succulenta). Cacciato dall’Italia dal regime fascista andò a morire a Londra.

La figura di Crowley fu molto influente e ispirò personaggi come Somerset Maugham, il mago Le Chiffre nel film Casinò Royale di
Iaan Fleming e The Magus di John Fowles nella letteratura. Nel film La Notte del Demonio (Tourneur, 1957) lo si vede interpretato come Karswell, e in The Devil Rides Out (Fisher, 1968), nella novella di Denis Wheatley lui è
Mocato. In Rosemary’s Baby (Polanski, 1968) lui appare come Adrian
Marcato. La sua più recente apparizione, che io mi ricordi, fu in A Chemical Wedding
(Doyle, 2009), scritto da Bruce Dickinson e ispirato alla band heavy metal dei
Judas Priest. Lui è il ragazzo che si occupa di magia nera.

Nei film sulla stregoneria il punto centrale, e compito del protagonista, è fare  accettare al pubblico l’esistenza della magia nera e della magia bianca. In The Night of the Demon lo scettico Dr
John Holden è a Londra per partecipare a un convegno dove Mr
Harrington vuole denunciare pubblicamente un culto. L’incontro con Karswell
cambierà poi le carte in tavola.

In Night of the Eagle (Hayers, 1961), è la moglie di un
professore universitario a usare la stregoneria per spingere la
carriera del marito, una idea inversa rispetto a quella di Rosemary’s Baby
(Polansky, 1968) dove Guy Woodhous permette a un culto satanico di
usare sua moglie come mezzo per ottenere lui stesso un avanzamento di
carriera. Rosemary’s Baby fu un grande successo, guadagnò altre 30
milioni di dollari e diventò uno dei primi block buster nella storia del cinema horror. Andare a
letto con il demonio è roba che vende, ma la storia è presentata in
modo che potrebbe essere tutto una fantasia di Rosemary che vede deteriorare la sua salute mentale durante la gravidanza. Le pozioni che le vengono
date sono l’aspetto più ovvio della stregoneria nel film, viene
evitato ogni aspetto ritualistico e non siamo resi partecipi del
patto diabolico fatto tra Guy e il demonio. 

Nei tardi anni 60′ crebbe
l’interesse nel demonio e nella stregoneria anche grazie alla musica. I Rolling Stones
rilasciano il loro album Satanic Majestic’s Request. Roman Polansky lesse le opere del professore R.L. Gregory “Eye and Brain” che parla della psicologia della vista e teorizzava il fatto che
noi vediamo meno di quello che pensiamo e che la nostra percezione
della realtà è piena di false memorie. Polanski scrive nella sua autobiografia del 1984 che l’intera storia vista attraverso
gli occhi di Rosemary può essere pensata come una catena di
coincidenze superficiali sinistre, un prodotto di fantasie fervide, ombre come quelle che Scrooge nega di vedere la notte di natale. Molti nel pubblico
sono convinti di vedere Cloven Hooves e la faccia del bambino alla
rivelazione finale del film, quando appaiono sullo schermo (superimposto dalla regia) due
occhi felini.

Witchfinder General (Reeves, 1968) fu incentrato sulla caccia alle
streghe e sui roghi come rituali sadici e il pezzo forte di Ken
Russel The Devils (Russel, 1970) fu un film di stampo politico riguardante i preti
piuttosto che un’accusa verso le attività diaboliche delle streghe. Il film di Robin Hardy
Wicker Man (Hardy, 1973) è ritenuto dalla critica il miglior film britannico folkloristico horror
sul paganesimo ed è una meravigliosa rivalsa delle credenze giudeo-cristiane su folklore e tradizioni. I sequel e i remake sono prodotti da ignorare.

Le Streghe di Eastwick (Miller, 1987) ispirato ad una storia di
John Updike, riguarda tre donne abbandonate dai mariti che formano un gruppo e invocano il demonio
(con la faccia di Jack Nicholson). Il film fu girato per ridere con
pochissimi ingredienti horror e un disgusto di media entità senza
preoccuparsi troppo dei contenuti horror. 

The Craft (Andrew Fleming, 1996) parla di un gruppo di
tre ragazze teenagers che scoprono che una loro nuova amica ha grandi
poteri magici, fa incantesimi sui loro compagni di classe e su ogni altra
persona che la infastidisce. Qui i riti della Wicca sfuggono di mano e la ragazza
cattiva di nome Nancy li porta oltre il semplice passatempo. Le altre del gruppo si rivoltano contro la cattiva e la protagonista Sarah invoca un potere superiore che
sconfigge Nancy e rimuove i
poteri alle amiche. Il messaggio di questo film riguarda più la
sociaizzazione tra i teenager che la vera stregoneria, con una premessa che dice che è ok essere diversi, ma non troppo. Il fatto che i personaggi principali fossero tutte ragazze bullizzzate o abusate è interessante ma il
motivo della vendetta avrebbe potuto essere più oscuro con forse un
po’ più di riempimenti stregoneschi.

Le streghe sono seguaci del demonio, di culti divenuti popolari dal 1960 circa e la strega moderna non ha
bisogno di un mentore maschile, ma forse detto così direttamente è troppo ovvio. Ira
Levin nel suo lavoro The Stepford Wives (Forbes, 1975) dice una frase
molto interessante sul supposto posto delle donne nella società: “ci sono molti paesi oggi che hanno ancora una
attitudine medievale verso le donne ed è a quelli che noi guardiamo
per trovare storie nuove”.

Sulle opere di Dario Argento ci vuole un post a parte

In termini di caccia alle streghe, oltre che il già citato
Witchfinder General (Reeves, 1966) è stato fatto poco riguardo la
purga europea della stregoneria. In America c’è la storia della caccia
alle streghe di Salem reinterpretata per il palco da The Crucible di
Arthur Miller (Miller, 1953) e portato su pellicola nel 1957 (Rouleau, 1957) e poi nel
1996 (Hytner, 1996) ma poco altro e non di buona qualità. 

Bene lettori e lettrici con le streghe e il cinema anche oggi è tutto. 

A presto per un nuovo appuntamento con il mistero e come al solito vi invito a leggere un buon libro o guardarvi un bel film, e se ancora non lo avete fatto iscrivetevi alla newletter per restare sempre aggiornati.

Alice Tonini 

Cinema horror e soprannaturale: tra fantasmi, poltergeist e case infestate

Oggi riprendiamo il nostro viaggio tra i sottogeneri del cinema horror e diamo una sbirciata al filone che si occupa dei fantasmi, dei poltergeist e delle case infestate da spiriti irrequieti che vi perseguiteranno portandovi alla pazzia.

I fantasmi non esistono?

Forse, o forse esistono. A voi la scelta. 👻

Ma nel mondo del cinema horror sono molto sfruttati e molto popolari. Il motivo principale è che sono facilmente adattabili a qualsiasi tipo di film, dalla commedia al romance, dai prodotti Disney a quelli di Star Trek (dove diventano allucinazioni o proiezioni olografiche). Tutti ricordiamo i lenzuoli bianchi di Scooby Doo o la donna con i lunghi capelli neri fradici che si trova negli horror giapponesi e sappiamo che è una moda destinata a influenzare il mondo delle produzioni cinematografiche ancora per molto tempo.

Un fantasma che grida, un’ombra che appare contro il muro, uno spettro che vaga senza pace ci inquietano ma non possono fisicamente farci del male. Possono però scioccare talmente tanto da provocare un malore o far cadere il personaggio da una finestra. Sono esseri eterei che si percepiscono più di quanto si vedano, spesso udibili tramite i lamenti, i graffi sulle pareti o sulle porte scricchiolanti. Se si riesce a vederli essi sono apparizioni eteree, una nebbia, ombre oscure o riflessi.

Lo scrittore delle storie di fantasmi deve saper modulare disagio e paura attraverso la parte principale della storia portando solo orrore come crudo risultato finale. (ma della scrittura degli horror parleremo presto con un paio di articoli a tema)

I maestri di questo sottogenere furono Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft, M.R. James, Sheridan LeFanu e Henry James – la tradizione gotica è la faccia moralmente accettabile dell’horror. Nelle opere letterarie del genere un fantasma cercherà di spingervi fuori dalla vostra mente e il risultato di molte di queste storie di fantasmi è la pazzia, particolarmente superbe sono le opere letterarie di M.R. James, ad esempio Oh Whistle e I’ll come to you, My Lad è . Questi spiriti portano i protagonisti al suicidio ed essi stessi diventano fantasmi.

Nelle opere di fantasia i poteri dei fantasmi sono i più disparati, perseguitano le loro vittime e compaiono all’improvviso: negli specchi, nei corsi d’acqua o dietro la schiena. Un fantasma non deve per forza rispettare le leggi della natura, loro si librano nell’aria, camminano attraverso le pareti e cambiano forma secondo i propri desideri. I fantasmi possono essere paragonati a dei gatti, sono territoriali o legati alla persona che devono perseguitare magari perchè sono morti al suo posto in un incidente e desiderano trovare pace (The Changeling, Medak 1980).

Per quanto riguarda i film sugli spettri ci sono due visioni differenti che co-esistono. Abbiamo visto che gli spiriti tormentano le persone ma ci sono storie horror e film nei quali il dannato infesta un luogo specifico come una casa o un cimitero, un esempio è The Innocents (Clayton, 1961), The Canterville Ghost- Il fantasma di Canterville (Jules Dassin and Norman Z. McLeod, 1944) The House on Haunted Hill (Castle, 1959), The Amityville Horror (Stuart Rosenberg, 1979; Andrew Douglas, 2005) e Poltergeist (Hooper,1982). Ci sono tanti luoghi infestati quante sono le persone tormentate da fantasmi malvagi.

Prima del 1940 nei film i fantasmi hanno le stesse funzioni del demonio, l’obiettivo finale è portare sollievo all’anima dannata con la luce del paradiso. Il primo film serio che arrivò dagli Stati Uniti fu The Uninvited (Guard and Guard, 1944) nei quali un uomo (Ray Milland) acquista una casa sinistra in Cornovaglia e ci va ad abitare, un classico. L’atmosfera è molto inglese, anche i fantasmi hanno l’aria british, in fondo l’Inghilterra vanta una lunga tradizione di antiche case spaventose e castelli dall’atmosfera evocativa.

I film americani hanno la tendenza a utilizzare le case gotiche tipiche del sud degli Stati Uniti e costruite prima della grande guerra d’indipendenza, gli stati più gettonati sono il New England (vedi Salem e i film che sono stati girati li) e il Massachusetts. Probabilmente i fantasmi californiani o del Nevada sono più problematici da filmare o vogliono essere pagati di più e allora i registi non li scritturano.

In The Haunting (Wise, 1963) Eleanor Lance è una zitellona incallita in fuga dalla sua claustrofobica famiglia e tormentata da poteri telecinetici. Come con Carrie (De Palma, 1976) e The Shining (Kubric, 1980) la vera questione è il protagonista è davvero perseguitato o è la sorgente dei suoi stessi mali? Quelle che si vedono nella casa di Eleanor sono forse creazioni di Eleanor stessa? E’ chiaro che la
casa la vuole, vuole assorbirla nella sua entità demoniaca vivente. Il film ha molte riprese fatte da angoli in soggettiva che ci danno la sensazione di essere nel punto di vista della cosa che dal tetto si avvolge verso il basso in una spirale malvagia cercando di spaventare la protagonista. La visione dello spazio nelle inquadrature è disturbata da specchi posizionati sulla scena in modo strategico: riflessi argentati sui muri, porte che cigolano e colpi senza una spiegazione apparente. Dr. Markway, il soave investigatore
psichico incaricato di trovare una spiegazione a quanto accade nella casa, arriva alla conclusione che tutti gli angoli sono sbagliati; le porte non vogliono chiudersi o si chiudono da sole, è disorientato dagli spazi stretti pieni di cianfrusaglie edwardiane. Nella casa tutto è a pezzi come la mente di Eleanor.
Gli specchi mandano il messaggio “guardati, non vedi?”. La cosa più spaventosa per Eleonor è Eleonor stessa. Purtroppo durante il film è difficile identificarsi con lei perché è una nevrotica ma il suo utilizzo della voce fuori campo è ispirato direttamente da Psycho (Hitchcock, 1960).

Ci sono film dove i fantasmi che vengono presentati sono manifestazioni di affari irrisolti. Noi non possiamo vederli perchè sono parte del doppio processo psicologico dell’horror. Non è un caso che molti avvistamenti di fantasmi nei film abbiano per protagoniste giovani donne e adolescenti; la psicologia afferma che i giovani siano più allineati con la propria psiche rispetto agli adulti. Non c’è nulla di più spaventoso di un bambino che vede quello che noi non riusciamo a vedere.

A differenza di molti horror moderni che possono essere nichilistici e selvaggi, i fantasmi dei vecchi classici promuovono l’idea che c’è qualcosa oltre il velo della morte, un mondo più grande del nostro,
che contiene conoscenze a disposizione di tutti e poteri che vanno oltre il tempo e lo spazio, il prezzo per l’accesso è la nostra sanità o la nostra forma fisica. In un senso è una redenzione. I fantasmi possono essere visti come una offerta di speranza proprio come le promesse delle religioni.

Il modo per entrare in contatto con uno spirito, se uno non vi ha già contattato, è quello di condurre una seduta con una tavola Oujia o di affidarvi ad una buona medium. Entrambe sono l’equivalente
horror di un vaso di pandora che viene aperto, nei film è una delle classiche cose stupide da fare, come provato da opere come 13 Ghosts (Castle,1960), Witchboard (Tenney, 1986), What Lies Beneath (Zemeckis, 2000), Long time Dead (Adams 2002) e Paranormal Activity (Pell, 2007). Tra l’altro, per chi di voi non lo sapesse, la tavola Oujia fu commercializzata da un uomo d’affari, tale Elijah Bond nel 1890 e
fu pubblicizzata come gioco di società innocente prima che la spiritualista Pearl Currain iniziasse a utilizzarla per le sue divinazioni durante la prima guerra mondiale. Oggi è conosciuta come uno
strumento del demonio e utilizzata esclusivamente per connettersi con l’aldilà.

Poltergeist del 1982, un pupazzetto che tutti vorremmo…

Altra cosa stupida che negli horror scatena le forze infernali è partecipare alle sedute con un medium. È un modo di carpire informazioni e segreti che poi si riveleranno fondamentali per la trama, ma a
volte i protagonisti devono stare attenti perchè l’inganno è dietro l’angolo. Queste sedute sono comunque un momento di tensione che vivacizza la trama e possono creare scene spaventose, specialmente
se vengono liberati spiriti indesiderati malvagi o se vengono fatti rituali magici oscuri come in The Devil rides out (Fisher, 1968) o La Nona Porta (Polanski, 1999) o nelle scene di Insidious (Wan, 2010) quando i personaggi indossano abiti psichici e una maschera anti-gas.

O forse no!

I poltergeist invece sono spiriti arrabbiati (la parola vuole dire “fantasmi “rumorosi”); aprono le ante degli armadi e fanno volare i vostri oggeti per la stanza, vi strappano le chiavi dalla mano e mettono in disordine la cucina. Questi spiriti fastidiosi tendono a perseguitare una persona piuttosto che un luogo
specifico e la seguono quando tenta di cambiare abitazione.

I film che si ispirano alle tradizioni giapponesi traboccano di spiriti senza pace morti in modo violento e sepolti senza un adeguato funerale per riunirli con gli antenati. Disegnati nei libri di racconti folkloristici, rappresentati nel teatro Kabuki e Noh, la figura più popolare è la donna fantasma, che ha una correlazione con la mitica Hannya (demone femmina arrabbiato), che noi vediamo in Ringu (Hideo Nakata, 1998), Ju-on Dvd (Shimizu, 2000), The Grudge (Shimizu, 2004) e Dark Water (Nakata, 2002). Poi c’è l’Oni, il demone, l’Ogre che è un fantasma legato ad un rituale, lo Yurei che è uno spirito arrabbiato e lo Yojai che invece è uno spirito posseduto dal male. Ovviamente qui ho semplificato molto ma sono figure molto interessanti se siete appassionati di folklore orientale.

Se vi piacciono le opere letterarie che parlano di fantasmi e di ville infestate vi invito ad acquistare il mio ultimo romanzo Il Richiamo, sono sicura che non vi deluderà.

E anche per oggi cari lettori è tutto.

Il mio invito è quello di procurarvi un buon libro o un buon film horror e di trascorrere del tempo di qualità in totale relax.

Buona lettura e alla prossima.

Alice Tonini