L’arte del disgusto: come l’horror sonda le nostre paure più nascoste

Carissimi lettori dell’ignoto, ben trovati. Tempo fa avevo promesso che saremmo tornati a parlare del nostro amato cinema horror e avrei fatto con voi una carrellata di alcuni dei sottogeneri più particolari. Sarò onesta con voi. Alcuni dei sottogeneri che vi cito nell’articolo hanno dato vita a opere che si possono includere negli annali della storia del cinema ma allo stesso tempo comprendono titoli “spazzatura” che sono veri e propri buchi nell’acqua.

Nel panorama del cinema horror contemporaneo, una nuova oscurità si è fatta strada, alimentata da una terminologia che opera come un incantesimo distorto: Torture Porn, Gorno, Splastick e Splatterpunk. Con l’avvento della CGI e di effetti speciali sempre più realistici ed economici, ciò che un tempo sembrava “hokey” (ingenuo o finto) è diventato terribilmente credibile, raggiungendo un pubblico sempre più vasto e affamato di brividi e di emozioni distorte.

Questa evoluzione ha dato vita a filoni horror che non si limitano più a spaventare, ma che vogliono disgustare.

Lo Splastick, per esempio, è una variante che unisce l’orrore alla commedia, creando un umorismo macabro nel mezzo di sangue e viscere. Film come Bad Taste (1987) di Peter Jackson, Slither (2006) o persino Child’s Play (1988) trasformano il disgusto in una fonte di risate nerissime, un modo per elaborare l’orrore attraverso il grottesco.

Ma il vero baratro del disgusto lo si raggiunge con il cinema asiatico estremo e i suoi “balletti di sangue” come Ichi the Killer (2001) e Tokyo Gore Police (2008), film che portano lo splatter a livelli quasi surrealistici. Questo genere ha raggiunto il suo apice alla fine degli anni 2000, un periodo in cui anche l’Europa, in particolare la Francia, ha risposto con opere di rara brutalità come Martyrs (2008) e Frontier(s) (2007), film che hanno scavato nel profondo della sofferenza umana. Non si può non menzionare anche il danese Antichrist (2009) di Lars von Trier e l’olandese The Human Centipede (2009), opere che hanno spinto i confini del disgusto fino al limite dell’insostenibile.

Tuttavia, è il Torture Porn, con franchise come Saw e film come Hostel di Eli Roth, ad aver guadagnato la peggior reputazione. Il suo obiettivo non è la paura, ma la contemplazione quasi voyeuristica della sofferenza umana, con un focus sadico su torture ingegnose e inumane.

Ma cos’è che ci fa davvero rabbrividire? Il disgusto è un’emozione primordiale, un’antica difesa contro ciò che è putrido, sporco o tossico. A differenza della paura che accelera il battito cardiaco, il disgusto lo rallenta, quasi a voler fermare il corpo di fronte a qualcosa di insopportabile. Nel cinema horror, questa emozione viene manipolata attraverso sette categorie principali:

* Contaminazione: Il terrore che qualcosa o qualcuno infetto possa raggiungerci. È una paura ancestrale, erede delle piaghe del passato, che rivive nei film di zombie, in Slither o in Contagion.

* Funzioni Corporee: L’orrore di fronte a fluidi, secrezioni, vomito, muco o, peggio ancora, la decomposizione del corpo. È l’intrusione del biologico, del putrido, in un’immagine che vorremmo pulita e integra.

* Ferite e Trauma: La vista di un corpo sventrato, spezzato, incapace di guarire. Qui il disgusto si lega all’empatia, al desiderio che la sofferenza dell’altro finisca, un’identificazione che rende l’orrore ancora più personale e viscerale.

* Tortura: L’umiliazione e il dolore inflitti al corpo umano. È un disgusto che sorge dalla nostra empatia per la vittima, a meno che l’aggressore non sia una figura che rompe ogni legame sociale, come un sociopatico o un serial killer.

* Corpo Sminuzzato: Il taglio, lo squartamento, il pestaggio o qualsiasi azione che esponga e danneggi l’interno del nostro corpo. È l’orrore della nostra fragilità fisica, di fronte a un’integrità che si dissolve.

* Cibo Estraneo o Marcio: Il ribrezzo per ciò che è ammuffito, alieno o corrotto, anche solo nell’aspetto. Un disgusto istintivo, radicato nella nostra sopravvivenza, che si manifesta anche nel cannibalismo o nella consumazione da parte di altri esseri.

* Splicing e Antropomorfismo: L’unione non scientifica tra esseri diversi, un’aberrazione che viola le leggi della natura. Film come Splice, The Human Centipede o Dead Ringers esplorano il disgusto che nasce dal disordine biologico, dall’alterazione della nostra forma umana.

Infine, esiste un tipo di disgusto più profondo, il disgusto morale. Un’emozione culturalmente costruita e introiettata che spesso si riversa in giudizi etici, fobie o paure verso ciò che percepiamo come “sporco” o “diverso”, che si tratti di identità, razze o comportamenti che esulano dalla norma. In questo senso, il disgusto non è solo una reazione fisica, ma un’arma potente, capace di plasmare i nostri giudizi e le nostre paure più recondite.

Il cinema horror, nella sua forma più estrema e conturbante, ci obbliga a guardare in faccia tutto questo. Ci costringe a confrontarci con ciò che è innominabile, sporco e abietto, non solo fuori di noi, ma anche nelle pieghe più oscure della nostra psiche.

Alice Tonini

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L’evoluzione dell’Horror: Dalla Letteratura al Cinema

Lettori del mistero e dell’ignoto bentrovati. Fan dell’horror siete pronti?

Oggi vi porto a fare un giro nel lato più oscuro del blog. Ricordate gli articoli sulla storia del genere che ho proposto tempo fa? Oggi li rivediamo insieme.

Siamo partiti dalle origini, abbiamo visto le prime opere significative e il passaggio fondamentale dalla letteratura al cinema. Nelle profondità della notte, dove l’inchiostro si fonde con l’oscurità e le parole sussurrano storie di terrore è nato il genere che perseguita gli incubi degli uomini da secoli e che ci fa divertire con le sue contraddizioni e le trovate macabre, grottesche ma spesso serie e rivoltanti. Le radici dell’orrore affondano in epoche remote, quando l’uomo prigioniero di paure ancestrali cercava di esorcizzare i propri demoni attraverso i racconti di spettri, mostri e creature abissali.

Il XVIII secolo segna la nascita del romanzo gotico, il genere letterario che getta le basi per l’horror moderno. Castelli tenebrosi, segreti inconfessabili, amori tormentati e presenze soprannaturali popolano le pagine di opere come Il castello di Otranto di Horace Walpole e Frankenstein di Mary Shelley. Questi romanzi intrisi di un atmosfera cupa e decadente esplorano i lati oscuri della psiche umana, mettono in scena figure tormentate dai sensi di colpa, da ossessioni e desideri proibiti.

Il passaggio dalla letteratura al cinema è stato una evoluzione naturale per il genere. Le immagini in movimento e la loro capacità di evocare emozioni intense e immediate sono lo strumento perfetto per dare vita alle creatura che popolano l’immaginario degli scrittori. I primi decenni del XX secolo hanno visto la nascita di capolavori come Nosferatu, il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau e Il mostro della laguna nera (1954) di Jack Arnold, sono opere che hanno saputo sfruttare le potenzialità del linguaggio cinematografico pe creare atmosfere inquietanti e personaggi indimenticabili. L’horror tuttavia non si limita a spaventare. Le sue storie sono metafore di paure sociali e individuali, ci invitano a riflettere sulla nostra condizione umana, sui nostri limiti e sulle nostre fragilità. È uno specchio oscuro che ci riflette, mostrandoci le nostre ombre più profonde e svelandoci la nostra capacità di affrontare le avversità.

L’articolo di riferimento per la prima parte della storia del genere è il seguente Horror: nascita di un genere, dalla letteratura ai film.

Gli anni ’40 segnano un periodo di consolidamento per il genere horror, con gli Universal Studios che detengono una sorta di monopolio sulla produzione di film di questo tipo. La casa di produzione sforna una serie di classici che sarebbero diventati iconici, come L’uomo lupo (1941) e La mummia (1932). Questi film, caratterizzati da atmosfere cupe e gotiche, mettono in scena mostri leggendari, figure tragiche e complesse, che incarnano le paure e le angosce dell’uomo moderno.

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Mentre Hollywood si concentra sulla serializzazione dei suoi mostri, il cinema europeo, pur tra difficoltà e limitazioni, cerca di esplorare nuove strade. In Italia, ad esempio, il genere si intreccia con il cinema fantastico e con la tradizione del gotico letterario, dando vita a opere come Il mostro di Venezia (1953) di Riccardo Freda. Gli anni ’40 sono dunque un periodo di transizione per l’horror, un genere che, pur rimanendo ancorato alle sue radici gotiche, inizia a confrontarsi con nuove tematiche e a sperimentare nuove forme espressive.

Se ti incuriosisce questa fase della evoluzione che va dagli anni ’40 fino alla comparsa dei primi film di zombie trovi l’articolo qui. Gli zombie nella storia del cinema dagli anni ’40 a oggi.

Dagli anni ’70 in poi, l’horror ha subito una trasformazione significativa, pur rimanendo legato a temi classici come le case infestate e i lupi mannari. Le case infestate, luoghi di presenze oscure e memorie traumatiche, sono diventate protagoniste di film come Amityville Horror (1979) e The Conjuring (2013), mentre i lupi mannari, creature ibride tra uomo e animale, hanno continuato a popolare l’immaginario horror in pellicole come Un lupo mannaro americano a Londra (1981) e The Wolfman (2010).

L’horror moderno, tuttavia, non si limita a riproporre vecchi schemi. Il genere si arricchisce di nuove tematiche, come la violenza psicologica, il disagio sociale e le paure legate alle nuove tecnologie. I film horror contemporanei spesso mettono in scena personaggi complessi e tormentati, alle prese con i propri demoni interiori, e utilizzano effetti speciali sempre più sofisticati per creare atmosfere di terrore sempre più intense.

Se vuoi approfondire i misteri dell’ horror dei giorni nostri l’ articolo dedicato è questo: Dai lupi mannari alle case infestate: arriva l’horror moderno.

Anche per oggi è tutto, spero di avervi dato la vostra quotidiana dose di ignoto e mistero anche stavolta. Ci vediamo prestissimo con un altro inquietante articolo.

Alice Tonini

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A chi non piace un bel film Slash?

Ed eccoci oggi all’ultimo appuntamento, per ora, con il cinema horror e i suoi sottogeneri. Non potevo che finire con il mio genere preferito: gli slasher.

Gli Slasher o i film chiamati anche Stalk e Slash sono i più difficili da affrontare tra tutti i sottogeneri a causa della marea di cliché che li circonda, ma è anche il genere con cui l’industria cinematografica ha fatto i soldoni, tanti soldoni. Ed è il genere che ha creato personaggi iconici come Michael Myers o Freddy Krueger. E il ragazzo frustrato, quello moro, che nei film riceve  sempre la notizia peggiore e se ne dispera.

Il nostro ragazzone è già pronto!

 

L’inizio del genere può essere fatto risalire agli anni ’70 circa con Black Christmas – Un natale rosso sangue (Bob Clark, 1974) ma la sua popolarizzazione arriva senza dubbio con Carpenter e l’iconico Halloween – La notte delle streghe (Carpenter, 1978) il genere ha preso piede negli anni ’80 con filmoni e sequel come Nightmare on Elm Street  e Venerdì 13. Oggi entrati nella storia del cinema.

A questi seguono film di seconda fascia fatti solo per gli incassi come Sleepaway Camp (Hiltink, 1983) e Prom night (Lynch, 1980), i quali non aggiungono nulla al genere. E potremmo rimanere qui a citarne a decine di questi sottoprodotti.

 

 

L’introduzione di VCR e VHS, le famose videocassette, significa che l’orrore non resta più confinato nei cinema e può aggirarsi per le case garantendo notti insonni e rumori inquietanti a tutti.

Negli anni ’90 arriva Kevin S.Willamson con Scream (Craven, 1996) introducendo una nuova icona indimenticabile: Ghostface. Un personaggio post moderno che porta ironia, in un sottogenere all’epoca stanco e demotivato, che uccide le star come Drew Barrimore e i primi quindici minuti del film sono uno storico omaggio a Psycho. In quel momento il gioco degli slasher diventa quello di sovvertire il film di paura tradizionale ribaltando i cliché e peccato che come al solito i sequel, Scream II (Craven, 1997) e seguenti, risultino un po’ piatti. Gli imitatori sono arrivati con I know What you did last Summer (Gillespie, 1997) e Urban Legend (Blanks, 1998).

 

 

La teorica femminista Carol Clover scrisse un trattato sul genere Slasher intitolato “Men, women and Chainsaws” (Clover, 1992), nel quale lei crea la teoria della ragazza finale.

L’autrice descrive la ragazza che sopravvive al massacro del nostro killer definendola come l’investigatrice coscienziosa del film, l’unica che mostra intelligenza, curiosità e che resta vigile durante tuttol’arco narrativo. Di solito le viene affibiato un nome americano unisex tipo Laurie o Sidney, è spesso vergine o si comporta con i ragazzi in modo morigerato, non interessato o non disponibile al sesso, all’opposto dei suoi compagni/amici (da qui arriva l’idea errata che negli horror il sesso sia connesso alla morte del personaggio). Di solito è connessa al killer a causa della sua famiglia o degli ambienti che frequenta, e nel corso dell’azione si mascolinizza impossessandosi di un arma (simbolo fallico) appropriata con la quale fare fuori l’assassino di turno.

Per arrivare alle fasi finali deve essere a conoscenza del male, lo spettatore deve avere l’impressione che lei sia sommersa dal male, psicologicamente ma spesso anche fisicamente entrando nel campo di caccia del killer (case infestate, cimiteri abbandonati etc.). Ci sarà sangue e fango e fluidi vari per replicare il liquido amniotico. Ci sarà una morte simbolica e una rinascita in un tunnel o simil tale. In Halloween (Carpenter, 1978) l’utero è una credenza con una porta a doghe: per alcune ragioni (come si nota  in Behind the mask: the rise of Leslie Vernon 2006 di Scott Glosserman, i serial killer in questi film sono spaventati dagli sportelli di legno delle credenze.

 

 

La nostra ragazza finale deve essere femmminile perchè deve affrontare e sostenere il rigetto psicologico del terrore che in un qualche modo il mondo maschile non può tollerare. Nei fatti il suo genere può essere abbastanza fluido. E’ una specie di maschiaccio, mai una sgualdrina ( quella di solito è bionda e cheerleader), e lontana anni luce dall’idea degli anni ’50 di eroina bisognosa di aiuto e di un eroe/principe azzurro. In questo modo Clover sostiene che la sua fluidità di genere combinata con la mascolinità estrema del killer illustra l’impatto del femminismo sulla cultura popolare.

Ovviamente si tratta di una teoria che è stata molto discussa, ha i suoi pro e i suoi contro. Non ve la presento per verità assoluta ma ognuno di voi è libero di trarre le proprie conclusioni.

Molti scrittori, registi e produttori sono consapevoli delle regole scritte o meno del genere Slasher e negli ultimi dieci anni sono stati fatti diversi tentativi per cercare di evitare l’ovvio e sovvertire le regole. All the boys love Mandy lane (Ievine, 2006) è un esempio da medaglia d’argento: una caratterizzazione forte dei personaggi, molti buchi nella trama ma una rivelazione finale che delizia (e annoia allo stesso tempo). Teeth (Lichetenstein, 2007) nonostante sia qualcosa di più di una pellicola comica dalle tinte dark riprende i film degli anni passati (abbiamo già parlato di un film dove compare una vagina dentata) e ha anche una protagonista femminile forte. In Cabin Fever di Eli Roth (Roth, 2002) tutti i personaggi sono intenzionalmente spiacevoli, così non ci dispiace se le donne si ammalano.

Gli Slasher hanno attraversato la loro fase rococò e ora sembrano in un momento di stasi ad eccezione di parodie, omaggi, prequel e sequel poche pellicole colpiscono per elementi innovativi e originali (Hatchet; Green 2006).

 

 

Comunque la pensiate si applicano ancora due fondamentali regole: la giovane protagonista forte è adattabile ad entrambi i sessi e seconda regola fondamentale la ragazza carina con la maglietta bianca o khaki e il seno prosperoso attrae sempre fidanzati facoltosi e  popolari (magari giocatori di football). Voi che dite?

E anche per questo sottogenere abbiamo finito e salutiamo il cinema horror. Spero abbiate trovato divertenti gli articoli dedicati, d’altronde io sono qui proprio per questo, e ci vediamo alla prossima.

Nel frattempo non dimenticatevi di leggere un buon libro, ogni anno ne vengono pubblicati più di 90.000 solo in Italia. Vi sfido a trovarne almeno uno che vi piaccia. Date una possibilità anche ai miei romanzi e iscrivetevi alla newsletter per tenervi sempre aggiornati.

Alice Tonini

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Cinema horror e stregoneria: da Aleister Crowley alle streghe di Eastwick

Oggi riprendiamo la nostra esplorazione dei sottogeneri del cinema horror e uno dei più diffusi è sicuramente quello delle streghe e dei loro patti con il male. 

Il demonio è protagonista da tempo della storia del cinema; dai
primi esperimenti di Georges Melies, alla versione de Lo studente di Praga di Poe interpretata da Paul Wegener (Rye and Wegener, 1913) fino al Faust di F.W.Murnau. Ne Il Gatto Nero (Ulmer, 1934) Boris Karloff recita la parte di un sacerdote in un culto satanico e più tardi Val Lewton produsse La
Settima Vittima
(Robson, 1943), che secondo la critica ha posto le radici per la figura del demonio
moderno che ha la missione di convertire gli scettici. Jaques Tourneur con il
suo eccellente Night of the Demon (Tourneur, 1957) porta sul grande schermo un
personaggio reale e dal nome familiare a tutti quelli che si sono interessati alla storia delle arti oscure almeno una volta: Aleister Crowley, conosciuto come “La grande
bestia” (1875-1974). Nessun lavoro sul satanismo o sulla stregoneria è
completo senza un riferimento a lui.

Nato nel 1875 e figlio di un facoltoso birraio, Crowley divenne un
membro influente di una delle società magiche più importanti della sua epoca: L’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata o Golden Dawn. Lui fu un poeta, un artista, uno sportivo e un
abusatore di droghe. Raccontò di essere stato contattato da un sacro
guardiano angelico durante i suoi viaggi in Egitto e che questi gli dettò il
libro della legge con il motto “Do what thou wilt, shall be the whole
of the law” (fai quello che vuoi, dovrebbe essere l’unica legge) una chiamata alle armi per i libertini di ogni dove, tra cui raccolse ampi consensi quando nel 1960 uscì la sua pubblicazione più conosciuta sulla magia e l’occultismo. Scrisse decine di libri sui temi più disparati: meditazioni, trattati, preghiere e saggi su occulto, arti esoteriche e alchimia.

Crowley fondò la sua personale filosofia e società dell’occulto, l’Oto (Ordine del Tempio Orientale) che fu pansessuale e coinvolse in
modo pesante l’uso di sostanze stupefacenti. Durante la sua vita divenne un personaggio famoso, conosciuto come il più importante stregone del mondo e nel 1932 portò in tribunale chi lo aveva definito mago nero (perse
la causa). Il giudice Mr Justice Swift disse “ io non ho mai udito
di cose più paurose, orribili, blasfeme e abominevoli come quelle dette da quest’uomo: mr Crowley”.

Verso la fine della sua vita dalla sua villa in Italia iniziò la vendita di un tonico chiamato “L’elisir del
Dr.Crowley” delle “pillole di vita“ che contenevano un mix di semi di chalk (una pianta succulenta). Cacciato dall’Italia dal regime fascista andò a morire a Londra.

La figura di Crowley fu molto influente e ispirò personaggi come Somerset Maugham, il mago Le Chiffre nel film Casinò Royale di
Iaan Fleming e The Magus di John Fowles nella letteratura. Nel film La Notte del Demonio (Tourneur, 1957) lo si vede interpretato come Karswell, e in The Devil Rides Out (Fisher, 1968), nella novella di Denis Wheatley lui è
Mocato. In Rosemary’s Baby (Polanski, 1968) lui appare come Adrian
Marcato. La sua più recente apparizione, che io mi ricordi, fu in A Chemical Wedding
(Doyle, 2009), scritto da Bruce Dickinson e ispirato alla band heavy metal dei
Judas Priest. Lui è il ragazzo che si occupa di magia nera.

Nei film sulla stregoneria il punto centrale, e compito del protagonista, è fare  accettare al pubblico l’esistenza della magia nera e della magia bianca. In The Night of the Demon lo scettico Dr
John Holden è a Londra per partecipare a un convegno dove Mr
Harrington vuole denunciare pubblicamente un culto. L’incontro con Karswell
cambierà poi le carte in tavola.

In Night of the Eagle (Hayers, 1961), è la moglie di un
professore universitario a usare la stregoneria per spingere la
carriera del marito, una idea inversa rispetto a quella di Rosemary’s Baby
(Polansky, 1968) dove Guy Woodhous permette a un culto satanico di
usare sua moglie come mezzo per ottenere lui stesso un avanzamento di
carriera. Rosemary’s Baby fu un grande successo, guadagnò altre 30
milioni di dollari e diventò uno dei primi block buster nella storia del cinema horror. Andare a
letto con il demonio è roba che vende, ma la storia è presentata in
modo che potrebbe essere tutto una fantasia di Rosemary che vede deteriorare la sua salute mentale durante la gravidanza. Le pozioni che le vengono
date sono l’aspetto più ovvio della stregoneria nel film, viene
evitato ogni aspetto ritualistico e non siamo resi partecipi del
patto diabolico fatto tra Guy e il demonio. 

Nei tardi anni 60′ crebbe
l’interesse nel demonio e nella stregoneria anche grazie alla musica. I Rolling Stones
rilasciano il loro album Satanic Majestic’s Request. Roman Polansky lesse le opere del professore R.L. Gregory “Eye and Brain” che parla della psicologia della vista e teorizzava il fatto che
noi vediamo meno di quello che pensiamo e che la nostra percezione
della realtà è piena di false memorie. Polanski scrive nella sua autobiografia del 1984 che l’intera storia vista attraverso
gli occhi di Rosemary può essere pensata come una catena di
coincidenze superficiali sinistre, un prodotto di fantasie fervide, ombre come quelle che Scrooge nega di vedere la notte di natale. Molti nel pubblico
sono convinti di vedere Cloven Hooves e la faccia del bambino alla
rivelazione finale del film, quando appaiono sullo schermo (superimposto dalla regia) due
occhi felini.

Witchfinder General (Reeves, 1968) fu incentrato sulla caccia alle
streghe e sui roghi come rituali sadici e il pezzo forte di Ken
Russel The Devils (Russel, 1970) fu un film di stampo politico riguardante i preti
piuttosto che un’accusa verso le attività diaboliche delle streghe. Il film di Robin Hardy
Wicker Man (Hardy, 1973) è ritenuto dalla critica il miglior film britannico folkloristico horror
sul paganesimo ed è una meravigliosa rivalsa delle credenze giudeo-cristiane su folklore e tradizioni. I sequel e i remake sono prodotti da ignorare.

Le Streghe di Eastwick (Miller, 1987) ispirato ad una storia di
John Updike, riguarda tre donne abbandonate dai mariti che formano un gruppo e invocano il demonio
(con la faccia di Jack Nicholson). Il film fu girato per ridere con
pochissimi ingredienti horror e un disgusto di media entità senza
preoccuparsi troppo dei contenuti horror. 

The Craft (Andrew Fleming, 1996) parla di un gruppo di
tre ragazze teenagers che scoprono che una loro nuova amica ha grandi
poteri magici, fa incantesimi sui loro compagni di classe e su ogni altra
persona che la infastidisce. Qui i riti della Wicca sfuggono di mano e la ragazza
cattiva di nome Nancy li porta oltre il semplice passatempo. Le altre del gruppo si rivoltano contro la cattiva e la protagonista Sarah invoca un potere superiore che
sconfigge Nancy e rimuove i
poteri alle amiche. Il messaggio di questo film riguarda più la
sociaizzazione tra i teenager che la vera stregoneria, con una premessa che dice che è ok essere diversi, ma non troppo. Il fatto che i personaggi principali fossero tutte ragazze bullizzzate o abusate è interessante ma il
motivo della vendetta avrebbe potuto essere più oscuro con forse un
po’ più di riempimenti stregoneschi.

Le streghe sono seguaci del demonio, di culti divenuti popolari dal 1960 circa e la strega moderna non ha
bisogno di un mentore maschile, ma forse detto così direttamente è troppo ovvio. Ira
Levin nel suo lavoro The Stepford Wives (Forbes, 1975) dice una frase
molto interessante sul supposto posto delle donne nella società: “ci sono molti paesi oggi che hanno ancora una
attitudine medievale verso le donne ed è a quelli che noi guardiamo
per trovare storie nuove”.

Sulle opere di Dario Argento ci vuole un post a parte

In termini di caccia alle streghe, oltre che il già citato
Witchfinder General (Reeves, 1966) è stato fatto poco riguardo la
purga europea della stregoneria. In America c’è la storia della caccia
alle streghe di Salem reinterpretata per il palco da The Crucible di
Arthur Miller (Miller, 1953) e portato su pellicola nel 1957 (Rouleau, 1957) e poi nel
1996 (Hytner, 1996) ma poco altro e non di buona qualità. 

Bene lettori e lettrici con le streghe e il cinema anche oggi è tutto. 

A presto per un nuovo appuntamento con il mistero e come al solito vi invito a leggere un buon libro o guardarvi un bel film, e se ancora non lo avete fatto iscrivetevi alla newletter per restare sempre aggiornati.

Alice Tonini 

Demoni e possessioni: dalle messe nere agli esorcismi nel cinema horror.

 

    Se esiste Dio allora esiste anche il Demonio. Se esiste il
    concetto di Saggezza Infinita e di Bene che va oltre la comprensione umana
    allora per il principio “come sopra così sotto” ci deve essere un peccato
    originale che accompagna le fiamme dell’inferno dove troviamo la sofferenza senza fine. Se non
    fosse così i film horror con una etica religiosa (di solito ispirati alle credenze giudeo-cristiane)
    non ci farebbero alcun effetto. L’esorcista (Friedkin, 1973) è oggi considerato un classico e rimane uno dei film più visti del genere.
    Questo e The Omen-Il presagio (Donner, 1976) produsse molti sequels di qualità
    variabile e ispirò anche opere come L’esorcimo di Emily Rose (Derrickson, 2005)
    e L’ultimo esorcismo (Stamm, 2010) e anche un film sottostimato ma interessante come
    Stigmate (Wainwright, 1999).

    Come sapete negli Stati Uniti la stragrande maggioranza della popolazione si considera cristiana, mentre noi in europa siamo più pragmatici per quanto riguarda le questioni religiose, è comunque fuori dubbio che le origini del cattolicesimo e i concetti stessi di
    demone, rito e possessione sono ancora radicati in credenze popolari molto profonde.
    La chiesa cattolica romana ha recentemente rivalutato l’utilizzo degli esorcismi dopo un periodo breve in cui la pratica è stata messa in discussione. L’idea
    della messa nera (vedi il film The Devil Rides Out (Fisher, 1968) è un inversione
    dell’idea della tradizionale messa cristiana in quanto nei film viene rappresentata con rituali, cerimonie, incantamenti, croci invertite e la transustanziazione al contrario che sostituisce il sangue simbolico e il vino con una versione più realistica e evocazioni al signore oscuro
    che deve ascoltare le preghiere dei fedeli; una rappresentazione del genere è una trasgressione pura e
    semplice delle tradizioni e delle usanze religiose.

    Quando si incontrano demoni, diavoli o possessioni nei film ci
    sono di solito tre passaggi distinti, una sorta di incontri
    ravvicinati del terzo tipo ma con il demonio al posto degli alieni. 

    Prima cosa c’è
    il contatto che può avvenire con una tavola Oujia, con il trasferimento in una casa nuova, una passeggiata in un cimitero, un gioco proibito o una seduta spiritica. Qui l’idea è
    quella di contattare gli spiriti per avere delle informazioni come
    prova della loro esistenza o per chiedere loro qualche dritta per risolvere qualche problema. Il fatto che si rivolgono agli spiriti, fantasmi in generale, non preclude l’idea del demonio
    ma è una manifestazione in formato ridotto. 

    Poi c’è il secondo passo che consiste nell’evocazione
    di un demone che nei film è una cosa seria. Qui vengono introdotti dei simboli pagani o dal significato oscuro come un
    pentacolo, il cerchio magico che non si può oltrepassare; un libro
    dei morti o una bibbia nera di un qualche tipo – un incantesimo,
    una pergamena (di solito in Aramaico antico) per contenere
    l’incantesimo che risveglierà le forze del male. 

    Ora arriva l’ultima parte dove invocano il
    potere del demonio che deve obbedire agli ordini: apparirà sotto forma di un golem, di uno
    spirito malvagio, o possiederà il corpo di un accolito. E finalmente arriva anche il sacrificio di
    sangue, che deve evocare Satana; Bapomet, Mephistophieles, il
    principe dell’oscurità, il vecchio Nick, Belial; Shaitan,
    Leviathan, il cornuto, Belzebù o l’anticristo. Se avete presente Hellraiser
    (Barker, 1987), li le cose ad una certa sono davvero scappate un po’ di mano.

    Torniamo a essere realisti, solo qualcuno di mentalmente disturbato crederebbe di poter fare un
    patto con il demonio. Ci sono film dove i personaggi che credono di avere potere su queste creature o di poter
    evocare la grande bestia come se niente fosse finiscono sempre male, e lo squilibrato devoto dell’oscurità fa una pessima fine. Comunque sia queste storie
    attirano grandi star del cinema e lo zolfo infernale è finito ache su Robert de Niro
    (Angel Heart, Alan Parker 1987), Al Pacino (L’avvocato del diavolo, Taylor Hackford 1997) e Jack Nicholson (Le streghe di Eastwick, Miller 1987) e hanno calcato la scena come dei pazzi furiosi.

    Ora focalizziamoci sulle possessioni. Idealmente quelle di un
    bambno perpetuate da uno spirito demoniaco malvagio possono essere davvero spaventose. La paura qui
    deriva dall’idea disturbante di trasgressione dell’infanzia.
    Il fatto che tuo figlio o il tuo fratellino possa non essere realmente tale ma una
    creatura distruttiva e malvagia è una paura che ogni familiare ha, e l’idea che
    la propria prole possa avere natura demoniaca può togliere il sonno la
    notte. Ci volgliono quattro anni per socializzare un bambino e per
    inculcare in questo una comprensione del giusto e sbagliato. E buona parte dell’infanzia è una battaglia per tenere sotto
    controllo la loro natura selvaggia. Il concetto di prima infanzia è
    una invenzione recente e l’orrore del demonio-bambino è quello che
    ricorre più spesso.

    I bambini posseduti nei film iniziano a comparire presto con Il
    villaggio dei dannati
    (Rilla, 1960) un adattamento della novella del
    1957 di John Wyndham The Midwich Cukoos, nel quale tutti gli
    abitanti del villaggio inglese di Midwich e tutti quelli che abitano
    entro cinque miglia dal villaggio, cadono a terra privi di sensi.
    Non viene spiegato il motivo (gli alieni sono indiziati) ma due mesi dopo le
    donne sono incinte, e danno alla luce bambini pallidi e con i capelli
    biondi. Sembra che una cosa simile sia accaduta anche in altri
    paesi in torno al mondo (Russia, Canada e Australia) ma i bambini sono morti o sono
    stati assassinati dai genitori. I giovani pargoli crescono ad un ritmo allarmante e
    all’età di sette anni sono educati e scolarizzati ma senza l’ombra di una coscienza e senza conoscere il concetto di amore. Loro
    sviluppano una mente di gruppo e poteri psichici che scatenano per fare del male a
    chi cerca di fermarli. Questo film è stato seguito dal superbo I
    bambini dei dannati
    (Leader, 1963) e un remake meno incisivo di Wes
    Craven nel 1995 ( Il villaggio dei dannati, Craven 1995). La storia di
    Stephen King del 1977 Children of the Corn (pubblicata in Night
    Shift magazine nel 1977) divenne anche un film (Kiersh, 1984) un
    omaggio all’idea.

    Un altro esempio superbo che rappresenta i bambini demoniaci è The Bad Seed
    (LeRoy, 1956) basato sul racconto di William March e su una
    sceneggiatura scritta da Maxwell Anderson e performato nel 1955 nel
    quale abbiamo una piccola ragazza Rhoda Penmark che è sospettata di
    aver annegato il suo compagno di classe Claude per una medaglia. Lei
    ammetterà questo alla madre Christine e anche l’assassinio di un
    vicino di casa. Viene rivelato che Christine è la figlia del serial
    killer Bessie Denker e fu adottata all’età di due anni. Gli omicidi
    di Rhoda continuano e la madre cerca continuamente di coprire le
    attività illegali della figlia finchè alla fine cercherà di
    ucciderla per poi suicidarsi.

    La più grande storia di possessione di bambini è ovviamente L’esorcista (Friedkin, 1973). il film venne adattato dal racconto del
    1971 di William Peter Blatty, una storia mitica di un uomo che cerca
    di recuperare la fede in Dio con conseguenze terribili che coinvolgeranno la
    possessione di Regan McNeil. Il racconto era basato su una storia vera.
    L’esorcismo del 1949 di Mt Rainer, un ragazzo di 14
    anni che sperimentò una tavola Oujia e divenne posseduto dal
    demonio, venne esorcizzato da un prete cattolico con successo dopo
    diversi tentativi falliti. Blatty approcciò uno degli esorcisti
    Padre John Bowdern che acconsentì ad aiutarlo per fare ricerche per il racconto basato sugli eventi e cambiò il sesso del
    posseduto per proteggere lui e la famiglia. L’idea venne proposta a Shirley Maclane che apparì in un altro film sulla
    possessione The possession of Joel Delaney (Hussein, 1972), Maclane
    lo passò a Lew Grade ma l’idea non fu
    accettata. La Warner Bros invece la raccolse al volo e furono selezionati molti
    registi prima di scegliere Friedkin.

    La sceneggiatura dell’Esorcista è stata riscritta in modo
    pesante con Blatty come produttore e l’anno in cui fu girato si presentarono molti problemi, si diffuse persino la diceria che un prete si fosse
    presentato sul set per benedire i partecipanti, una sorta di assicurazione sacra. La Warner Bros decise di non fare preview del film temendo che potesse offendere il pubblico e  partì direttamente con le proiezioni nei cinema che lo
    trasmisero per sei mesi ininterrotti. Divenne un film da incassi record per il
    tempo, con reazioni isteriche da parte del pubblico che ebbe aborti,
    attacchi di cuore e il personale dei cinema che doveva usare la lettiera per i
    gatti per pulire il vomito. La chiesa cattolica venne subissata di
    richieste per esorcismi e invece di dichiarare il film blasfemo il Times Chatolic lo ritenne spiritualmente profondo. L’esorcista venne proiettato in alcuni cinema per due anni a fila e venne rilasciato in Gran Bretagna solo nel suo 25° anniversario.

    Ci sarebbe ancora moltissimo di cui parlare riguardo
    l’immaginario subliminale del film. Friedkin stesso ha dichiarato
    che “non è subliminale perchè tu puoi vederlo” ma è proprio cosi?

     Il volto del
    demone è visibile in due frammenti singoli: uno durante la visita di
    Regan e uno quando la madre è in cucina (non posso dirvi altro perchè sennò faccio spoiler). L’immagine è
    apparentemente parte del test fatti sulla pellicola e che dovevano essere usati nella scena della testa che gira. E’ un incredibile effetto spaventoso per l’epoca, dove non esistevano computergrafica e costumi all’avanguardia e questo vuol
    dire molto per un film pieno di immagini e scene scioccanti senza
    sosta. Il volto del demone ti parla al subcoscio dopo che la tua visione periferica l’ha
    vista… Usare frammenti singoli di immagine come questi è stato
    fatto anche oggi un paio di volte. Una nel film L’anticristo di
    Lars Von Trier (Von Trier, 2009) e ancora in Devil (Dowdle, 2010) una
    storia divertente del demonio che intrappola cinque persone in un
    ascensore e viene mostrata l’immagine di Satana sulle telecamere di sicurezza di
    una guardia.

    L’Esorcista causa disgusto, piuttosto che scioccare, specialmente riguardo il corpo (“Help me” scritto sul torso di Regan) facendolo un
    precursore di Body Horror e del lavoro di David Cronenberg. Il film
    ha lasciato lunghi strascichi e molti si sono ispirati a varie parti. The Orphan
    (Collet-Serra, 2009) è un tentativo notevole (c’è qualcosa di
    sbagliato in Esther) ma ha un colpo di scena che nega la possessione
    demoniaca. Insidious (Wan, 2011) scritto dal creatore di Saw Leigh
    Wannel e James Wan riguarda una coppia il cui figlio diventa un
    mezzo per i fantasmi, ha lo stile dell’esorcista e un nuovo colpo di scena interessante. C’è anche The Last Exorcism-L’ultimo Esorcismo (Stamm, 2010) che esplora in modo
    brillante l’idea di un uomo che perde la religione, in questo Cotton
    Marcus, un disilluso ministro evangelico espone esorcismi
    fraudolenti ma ottiene più di quanto credeva di potersi aspettare.

    Ci sono molte interpretazioni dell’Esorcista inclusa una che
    sostiene che è misogino, con fantasie omosessuali sulla repressione
    di una giovane donna tenuta in uno stato di innocenza verginale. Senza approfondire troppo l’aspetto interpretativo possimo dire che la pellicola parla
    molto della pubertà e Regan è circondata da uomini che la
    torturano. Il demonio è esplicitamente una creatura che rappresenta la sessualità (v.di la scena con la masturbazione), la blasfemia e la profanazione etc.- ma tutto è in potere al demonio. Per molti il film non è nulla più
    che una vecchia interpretazione di Saw rimescolato a temi legati alla sessualità femminile.

    “L’esorcista dispensa con nessuna ambiguità, il ritorno a una
    visione della donna ebraico-cristiana e nel processo
    inavvertitamente esplora l’idea il controllo del corpo della donna che è
    una delle preoccupazioni centrali delle religioni organizzate.”
    James Marriot

    E anche per oggi è tutto. Spero che questa nostra digressione nel mondo dell’horror vi sia piaciuta e magari vi ha anche fatto venire voglia di guardarvi proprio uno dei film di cui stiamo parlando, in fondo tra qualche giorno è Halloween, giusto?

    Buona lettura a tutti e alla prossima.

    Alice Tonini