Viaggiamo insieme nel passato per approfondire le memorie di Benjamin Franklin

 Torniamo a parlare delle biografie più vendute e torniamo a parlare di un presidente degli Stati Uniti (per essere più precisi di uno dei padri fondatori). 

E’ un personaggio che si ama o si odia e faceva discutere di sé già ai suoi tempi. Sappiamo che D.H.Lawrence lo odiava e nelle sue lettere si riferisce a lui come al “dottor Franklin color tabacco” (era un modo spregiativo per paragonarlo agli schiavi, non dimenticate che nacque nel 1706 e morì nel 1790). Norman Rockwell per prendersi gioco di lui lo ha dipinto mentre legge circondato da donne francesi vestite in modo succinto, tre delle quali si strusciano sulla sua persona e una quarta inginocchiata ai suoi piedi lo osserva estatica. 

Era un uomo poliedrico, dai molteplici interessi e dalle infinite passioni. Ha inventato uno strumento musicale, l’armonica di vetro, per la quale Mozart e Beethoven scrissero pezzi, e praticava nuoto, dicendo che gli serviva per sviluppare i muscoli delle braccia. 

Chi era Benjamin Franklin, il pittore che trascinava le sue povere provviste in una carriola attraverso le strade di Philadelphia e che divenne uno dei più potenti uomini delle colonie del nord America? 

La sua autobiografia intitolata L’autobiografia di Benjamin Franklin, di 170 pagine circa e disponibile anche in italiano lo chiarirà a tutti giusto?

Sbagliato, ovvio. 

E’ senza dubbio un’opera affascinante ma al tempo stesso oscura, illuminante ma fuorviante.

Se vogliamo saperne di più sul suo lavoro perché vogliamo approfondire la nostra conoscenza della Dichiarazione di indipendenza e della Costituzione americana qui non troverete assolutamente niente, il libro si interrompe nel 1760. (Sappiamo che avrebbe voluto finire di scriverla, in più di una occasione si riferisce a questo libro come alle sue “memorie” ma è morto prima di poterlo fare).

La questione dell’accuratezza dei ricordi della sua giovinezza resta: lui scrive le tre sezioni principali all’età di 65 anni, 78 anni e 82 anni (c’è una quarta parte frammentaria scritta a 84 anni, l’anno della sua morte). 

Oltre la questione della memoria, si mette in dubbio anche quanto lui abbia deliberatamente modificato alcune immagini di sé stesso da lasciare ai posteri. Problema che già abbiamo affrontato quando abbiamo approfondito le memorie di altri presidenti.

Scholar Robert F. Sayre chiama le prime tre parti “tre separate esplorazioni della scoperta di sé e dell’ auto promozione”. Dove finisce l’uomo e dove inizia la maschera? 

Andare a letto presto e alzarsi presto rende un uomo in salute, forte e saggio. Andare a letto tardi e alzarsi tardi ci fa avere una vita sociale migliore.

Se leggiamo la lettera introduttiva del 1771 indirizzata suo figlio illegittimo William, noi possiamo immaginare un padre desideroso di istruire il giovane su come trovare il proprio sentiero nella vita. Ma ci sorprenderemo quando verremo a sapere del fatto che William non solo ha circa quarant’anni al tempo ma è il governatore del New Jersey! (I due uomini diventeranno estranei in modo permanente durante la Rivoluzione quando il figlio resterà fedele all’Inghilterra.)

Perché dobbiamo leggere questa roba scritta centinaia di anni fa oggi? 

Una ragione è perché è divertente avere una impressione di prima mano degli aneddoti della vita giovanile di Franklin che fanno oggi parte della mitologia e della cultura statunitense. Abbiamo il Ben teenager appena arrivato a Philadelphia che acquista “tre grandi involtini” mangiandone uno e tenendo gli altri sotto braccio mentre si aggira per le strade.

Una seconda ragione e più profonda può essere quella di capire la lezione che questo “uomo archetipico in crescita”, per citare le parole di uno degli editori, ci insegna su come diventare un uomo che si fa da sé. Le sue dettagliate ed elaborate istruzioni completate con schede grafiche su come passare da mendicante a riccone ispirano anche lavori più tardi come i libri della serie di Horatio Alger. Per chi di voi no lo sapesse quest’opera è servita anche come modello per le pagine del Grande Gatsby: un giovane James Gatz che non solo ha come obiettivo il benessere in generale come la salute e la saggezza ma studia l’elettricità e non manca di ideare invenzioni, omaggi morti all’idea di Franklin che esiste nella mente di Fitzgerald.

Come è meraviglioso quest’uomo che amò i suoi dieci anni a Londra e costruì nei suoi otto anni a Parigi l’immagine per i posteri di essere stato il primo vero americano e di avere aiutato la sua nazione a crearsi una identità nazionale.

Per saperne di più su questo uomo intrigante dai mille volti leggete Walter Isaacson la sua biografia generale: Benjamin Franklin an american life, e anche l’opera di Gordon S.Wook: The americanization of Benjamin Franklin, uno studio affascinante che ci mostra come quest’uomo che una volta era ben lontano dall’aristrocrazia europea ha raggiunto i suoi obiettivi giocando a mettersi la parrucca dell’americano, non pensando neppure lontanamente di essere un ciarlatano con indosso vestiti eleganti e l’etichetta di “persona semplice”. L’autobiografia è il vostro punto d’inizio.

E anche per questo appuntamento è tutto. Auguro a tutti voi una serena pasqua e buona lettura a tutti.

Alice Tonini

Ps. Non dimenticatevi di iscrivervi alla Newsletter e se non avete ancora ricevuto mail controllate nella spam.

La vita di Frederick Douglass, uno schiavo americano, raccontataci da lui stesso

Quest’anno gli inviti alla lettura, come già via avevo anticipato, parlano delle biografie e delle autobiografie più famose e vendute.

E’ un genere che in Italia non va per la maggiore, infatti le opere che vi presento sono tutte opere estere, principalmente statunitensi. Come molti di voi sapranno la cultura nord americana, se paragonata a quella europea è relativamente giovane e un ruolo importante nella sua costruzione lo hanno giocato proprio alcune delle biografie e autobiografie che vi presento. Per farvela semplice basti pensare alla mitologia legata alle figure di alcuni dei più famosi presidenti degli Stati Uniti come Abramo Lincoln o George Washington.

Oggi però parliamo di una pagina tristissima della storia americana, quella dello schiavismo e della tratta dei neri. Le opere che ne parlano sono davvero tante ma io ho scelto una tra le più famose e significative. Memorie di uno schiavo fuggiasco del 1845 di Frederick Douglass, soprannominato il Leone di Anacostia, primo afroamericano ad essere candidato per la vicepresidenza degli Stati Uniti e infaticabile sostenitore dell’eguaglianza di tutti: uomini, donne, bianchi, neri, nativi americani o immigrati.

Il lungo titolo che ho dato a questo articolo vi avvisa che non c’è “come x raccontò a …” della tradizionale narrativa sugli schiavi della letteratura americana. Questa autobiografia è una testimonianza non solo di un uomo coraggioso con le sue aspirazioni e la sua ingenuità, ma racconta anche della sua insaziabile capacità di apprendere e della sua incredibile padronanza della scrittura.

Douglass dopo tre tentativi andati a vuoto, riuscì a fuggire dalla sua schiavitù nel Maryland nel 1838 e pubblicò questo libro sette anni più tardi. La frase “uno schiavo americano” è vera in senso letterale con Douglass che rimane soggetto ai cacciatori di schiavi durante tutto il periodo di fuga e per ben due volte ritorna alla condizione di schiavitù in brevissimo tempo. 

Parlando a un pubblico di Cork, città dell’Irlanda, nell’autunno del 1845, Douglass nota “Io sono qui per evitare la puzza dei cacciatori di sangue Americani”. Negli anni seguenti, tra gli inglesi, raccolse un vasto pubblico di ammiratori a causa delle sue continue obiezioni al fatto che loro trattassero con gli schiavisti. Vennero raccolti dei soldi per pagare la sua libertà.

Se esiste un libro che può far piangere e gioire allo stesso tempo è questa autobiografia. Le descrizioni ripetute delle frustate, subite da Douglass fin da bambino, sono ovvi esempi di una lettura repellente. Questi racconti di abusi fisici subiti da un corpo umano sono solo parzialmente dolorosi, bisogna sommare anche gli abusi mentali e spirituali che gli schiavi subivano. Douglass racconta che anche i signori degli schiavi che permettevano a questi ultimi di ubriacarsi durante le rare festività che era loro concesso di festeggiare lo facevano per annebbiare la loro ragione secondo un piano pre stabilito. Tutti gli sforzi per tenere gli schiavi in condizioni animali erano complementari alle catene e alle “Cowskin” (Termine utilizzato dal protagonista per indicare la frusta.). 

Quando fuggì gli fu chiesto di parlare davanti ad un gruppo abolizionista, lui inizialmente espresse riluttanza notando ironicamente che la schiavitù è una “scuola povera per l’intelletto e il cuore”.

Il giovane Frederick nato da una madre amorevole e che non conobbe mai il padre, (probabilmente un bianco, probabilmente un padrone) all’età di dodici anni ha una rivelazione riguardo il “cammino dalla schiavitù alla libertà”. Quando la moglie del nuovo padrone inizialmente gentile, ha tempo per insegnargli a leggere, suo marito interviene dicendo che “Imparare rende uno schiavo scontento e infelice” quindi per la mentalità dell’epoca inadatto ad essere uno schiavo. Una rivelazione! “Quello che lui più temeva io più desideravo.”  E’ ispirante venire a conoscenza che il ragazzo inventa uno stratagemma clandestino per migliorare le sue abilità di lettura e per imparare a scrivere. La sua dedizione all’apprendimento è commovente e anni più tardi lo spinge a coinvolgere anche altri schiavi, “ci sostenevamo gli uni con gli altri” e insegnò a leggere a più di 40 uomini e donne di tutte le età, tutti con un “ardente desiderio di imparare”.

Anche la più cruda delle esperienze che Douglass racconta farebbe effetto, ma la sua abilità con le parole scava nel contenuto in modo affilato. La sua lunga struggente invocazione alle vele delle navi che poteva vedere nella Baya di Chesapeake (“tu sei sciolta dai tuoi ormeggi e sei libera; io sono veloce nelle mie catene e sono uno schiavo.”) è corrisposto come potere emozionale dalla sua descrizione del “selvaggio” e “apparentemente incoerente” cantare degli schiavi che venivano trasportati in quelle stesse navi. 

Il romanzo La capanna dello zio Tom, opera di fantasia di Harriet Beecher Stowe, apparve sette anni più tardi, contiene scene melodrammatiche di schiavi che fuggono da un padrone persecutore. La narrazione di Douglas è reale e affligge l’anticlimax. 

Dopo due fallimenti, per proteggere le possibilità degli altri schiavi di fuggire verso nord lui progetta la sua fuga verso New York con estrema attenzione. Dal libro si apprende dell’esistenza di Anna Murray – donna libera, lavoratrice domestica, futura moglie – che si spinge a nord per raggiungerlo, e ci fa sentire il suo orgoglio durante la trascrizione legale delle impronte per il loro certificato di matrimonio. Poi si va a New Bedford in Massachusetts, dove l’uomo che è stato chiamato Bailey, Stanley e Johnson prende il nome di Fredrick Douglass per affrontare la sua nuova vita da uomo libero.

Non ho un’idea precisa della mia età perché non ho mai visto un documento ufficiale che la registrasse. L’enorme maggioranza degli schiavi sanno, della loro età, quanto ne sanno i cavalli, e su questo punto tutti i padroni ci tengono a mantenerli nel buio più completo.[…] Fu questa, per me, una causa di disagio fin dall’infanzia. I ragazzi sapevano dire quanti anni avevano: perchè mi era negato lo stesso privilegio?

Con questa citazione vi invito a leggere quest’opera forse un po’ datata ma dai contenuti attuali e emozionanti.

Questa è solo una delle tante biografie e autobiografie che la dura epoca degli schiavisti ci ha lasciato. Sono tutte opere che parlano dell’importanza della libertà e della necessità di avere una istruzione per conquistarsi quello spazio nel mondo che altrimenti sarebbe negato da chi vuole farci credereche tanto andare a scuola non serve.

Buona lettura a tutti e alla prossima.

Alice Tonini