Carissimi lettori del mistero e dell’ignoto oggi desidero coinvolgere anche voi nella playlist che ha accompagnato la scrittura del mio nuovo romanzo. Ok, io ascolto i brani su Spotify ma per comodità ho preferito riportare la versione YouTube.
Il primo brano sopra è On the Nature of Daylight che evoca riflessione e malinconia, forse l’emozione che permea ogni pagina.
Poi c’è Ljosid, brano che ho scoperto per caso ma lo trovo delicato e inquietante, perfetto per i momenti di mistero.
Il brano successivo è Riverside che evoca una favola oscura e pericolosa in modo inquietante.
Per ultimo trovo molto adatto Holocene. Brano che parla di solitudine e del rapporto natura -uomo, tema centrale del mio romanzo distopico.
Ora che avete ascoltato il mood del mio nuovo romanzo, avete brani simili da suggerire? Ditemelo nei commenti e a presto.
Alice Tonini
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2 risposte a “Musica che mi ispira durante la scrittura”
Ciao Alice, anch’io quando scrivo ascolto musica. Nella preparazione la mia, poi metto su Chopin o Beethoven, lo so sono compositore classici, ma se ascolti il loro repertorio troverai dei brani che potrai ascoltare anche tu. Di Chopin i notturni e di Beethoven la sonata n 9…
Nell’aria frizzante dell’autunno, con le foglie che si accartocciano e il sole che si fa più pallido, a volte ci sentiamo svuotati, come un libro con le pagine bianche. Ma proprio come un racconto, anche noi abbiamo bisogno di un incantesimo che ci dia la carica.
E se ti dicessi che la tua energia non si trova in una pozione magica, ma è nascosta nelle storie che ti fanno venire i brividi, nel sussurro dei misteri nebbiosi e nell’aroma di una tazza calda?
L’energia la possiamo trovare anche tra le pagine di un buon libro: tra pozioni di carta e incantesimi neri come l’inchiostro.
Per chi come noi ama perdersi tra le righe di un libro, la risposta è quasi ovvia: l’energia viene dall’odore della carta, dal il peso confortante di un volume tra le mani. Un romanzo non è solo una storia, ma un rifugio, una pozione che ti cura quando sei stanco. C’è un’energia speciale nel brivido che senti quando cerchi di risolvere un enigma insieme a Sherlock Holmes, una scarica di adrenalina quando l’assassino viene smascherato. È una ricerca, un’indagine, una battaglia vinta che ti accende.
E se ami il fantasy, l’energia si nasconde nei mondi che visiti: l’amicizia dei compagni della Compagnia dell’Anello, la forza di volontà di Frodo, la magia antica che permea le foreste di Tolkien. Ogni libro è un viaggio e ogni viaggio ti restituisce qualcosa di nuovo, un pezzo di te che non sapevi di aver perso.
Ma l’energia non è solo nelle storie scritte, si nasconde anche in quelle che ci sono state tramandate, in quelle che le nostre nonne ci raccontavano la sera. I misteri non sono solo nei romanzi, ma anche nelle leggende che affollano i nostri boschi e i nostri castelli.
Chi non ha mai subito il fascino di una antica leggenda? Forse l’energia per te è il mistero di una strega che ancora oggi si dice abiti in una grotta lontana, oppure il coraggio che ti viene dai racconti dei cavalieri che sfidavano draghi e demoni. È il legame con la storia, con le radici della tua terra.
Ritrovare quell’energia significa riscoprire il passato, non come un peso, ma come una forza. Forse è per questo che ci sentiamo così bene a raccontare le storie dei nostri antenati, o a riscoprire antiche tradizioni. Ci fanno sentire parte di qualcosa di più grande.
A volte l’energia che cerchiamo è più sottile, quasi un rituale. Io la trovo nell’aria umida di un bosco dopo la pioggia, nel suono delle foglie secche sotto i piedi e nel silenzio solenne di una foresta. La natura, con i suoi misteri e la sua forza primordiale, è per me una fonte inesauribile di ricarica.
Ma c’è un altro rituale che mi rigenera: il momento in cui preparo una tazza di tè o di caffè. L’aroma che si sprigiona, il calore che scalda le mani. È un momento di pausa, un sorso che sa di calma e di ispirazione. Il caffè, nero e profondo, mi dà la carica giusta per affrontare una pagina vuota. Il tè, con i suoi sapori delicati e misteriosi, mi riporta a un tempo lento, perfetto per immergersi in una storia complessa. Sono due pozioni, due incantesimi quotidiani che mi connettono al presente e mi preparano per il prossimo capitolo.
Alla fine, l’energia più potente di tutte è la curiosità. È la forza che ti spinge a voltare la pagina, a cercare la soluzione di un enigma, a scoprire se quella leggenda è davvero solo una leggenda. È la scintilla che accende il tuo spirito.Non è un caso che i personaggi più energici, nella letteratura e nella vita, sono quelli più curiosi, quelli che non hanno paura di farsi domande e di cercare le risposte.
Allora, la prossima volta che ti senti svuotato, chiediti: che storia ho voglia di esplorare oggi? Quale mistero mi aspetta dietro l’angolo? Sono certa che troverai i misteri giusti!
Alice Tonini
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2 risposte a “Scopri l’energia nei libri e nei misteri”
Cari lettori del mistero ogni storia nasce da una domanda. Ma a volte, la domanda più importante è quella che non osiamo farci.
La mia, è stata questa: cosa succederebbe se avessimo una seconda possibilità? Non per noi, ma per la storia stessa. Per un errore così grande, così imperdonabile, da aver cambiato il corso del nostro mondo per sempre.
È stato mentre guardavo un vecchio video in bianco e nero che ho trovato la risposta, o almeno, l’ho creduta tale. Era Benjamin, l’ultimo tilacino, che camminava nella sua gabbia, inconsapevole di essere l’ultimo della sua specie, l’ultimo a portare in sé il mistero di una creatura meravigliosa e ormai perduta.
In quel momento, la domanda ha smesso di essere un’astrazione. Ha trovato un corpo, un nome, un’ombra che mi ha inseguito fino a quando non ho deciso di darle vita. Cosa accadrebbe se quell’ombra potesse tornare? E se, tornando, portasse con sé un segreto in grado di cambiare tutto ciò che crediamo di sapere?
Questo è il mistero che mi ha spinto a scrivere il mio nuovo romanzo. Un mistero che parte da un vecchio video e si addentra in una domanda che, forse, è l’unica che conta davvero: siamo davvero pronti a confrontarci con ciò che abbiamo perso?
Lettori dell’ignoto tenetevi pronti perché stiamo per partire alla scoperta di un futuro ecologico ma dalle prospettive terrificanti.
Alice Tonini
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Una replica a “Riscoprire il passato: Cosa succederebbe se antiche creature dimenticate prendessero vita?”
Cari lettori dell’ignoto il nostro viaggio continua. Il battello che ogni giorno salpa da Mykonos e attracca a Delo ci offre il tempo necessario per esplorare le antiche rovine, il museo e per concederci il rito di uno spuntino. Chi di voi desidera restare può farlo, anche se le notti sull’isola non offrono molte distrazioni. Sarà forse opportuno portarsi un buon libro, o prepararsi a perdersi in un silenzio che sembra custodire segreti.
La visita inizia dalla piazza che si apre accanto al porto: l’antica agorà. Da qui, parte la strada che un tempo conduceva al tempio di Apollo, un vero e proprio corridoio di marmo fiancheggiato da portici e statue su piedistalli. Alla sua sinistra, ancora oggi, si ergono i resti di un immenso edificio con sedici colonne doriche, dedicate ad Apollo nel IV secolo a.C. da Filippo di Macedonia, padre di Alessandro Magno. Era usanza comune per regnanti e stati potenti dedicare statue ed edifici al dio. In questo santuario si trova ancora il piedistallo di una statua colossale di Apollo, dedicata dai fedeli della ricca isola di Nasso nell’VIII secolo a.C. La statua, ormai a pezzi, si trova oggi in un altro santuario, più a ovest, consacrato ad Artemide. Si ha quasi la sensazione che le divinità non abbiano mai davvero abbandonato questi luoghi, ma che il loro potere, seppur invisibile, aleggi ancora tra i resti di marmo e le colonne spezzate.
A Delo si ergono, solenni, solo due templi dedicati ad Artemide. Il culto di Diana andava lentamente svanendo, man mano che saliva alla ribalta il sole di Apollo, simbolo dell’età d’oro e della vitalità intellettuale della Grecia. Eppure, i Greci furono abbastanza saggi da non dimenticare mai i loro dèi più antichi, quelli legati alla terra e ai suoi segreti più profondi. Nel museo si può ammirare una bellissima statua di Artemide, con il ginocchio che poggia lievemente sulla schiena di un cervo, oggi senza testa.
Tre templi dedicati ad Apollo sono stati riportati alla luce e l’intera area è stata ribattezzata Santuario di Apollo. Vi si accede salendo quattro gradini di marmo bianco, che immettono nel propileo, l’ingresso del II secolo a.C. Il primo tempio, il più grande, fu dedicato al dio dagli abitanti stessi di Delo, ma rimase incompiuto. La sua costruzione iniziò nel 476 a.C. ma fu sospesa quando gli Ateniesi si impossessarono del tesoro dell’isola. Quando nel 314 a.C. Delo ottenne l’indipendenza, i lavori ripresero solo per un breve periodo. I Macedoni giunsero nel 322 a.C. e nel 166 a.C. i Romani restituirono il controllo di Delo ad Atene. Ma il destino dell’isola era segnato: nell’88 a.C., Menofane, un generale di Mitridate VI del Ponto, la saccheggiò.
Il secondo tempio, dedicato ad Apollo dagli Ateniesi, è di stile dorico ed è stato costruito con marmo bianco portato da Atene nel IV secolo a.C. Il terzo e più antico dei templi, risalente al tardo VI secolo, è fatto di pietra porosa e un tempo ospitava una statua oggetto di culto.
A ovest del secondo tempio si trova un tempietto ad Artemide. Ma a est, si erge il monumento più curioso dell’isola: il santuario dei tori, chiamato così per le due statue taurine che lo adornano. Un tempo era considerato l’ottava meraviglia del mondo. Era qui che si svolgeva la danza delle gru, o Geranos, una danza che Teseo eseguì per la prima volta tornando vittorioso dopo aver sconfitto il Minotauro. Un rito complicatissimo e misterioso, che fu perpetuato attorno a un altare che, si dice, il dio Apollo stesso avesse costruito con le corna sinistre delle capre uccise dalla dea Artemide. Una danza menzionata più volte nelle antiche scritture. Il poeta Callimaco, ad esempio, racconta di giovani uomini con le mani legate dietro la schiena che, imitando un attacco all’altare di corna, giravano attorno all’olivo sacro e ne mordevano la corteccia. E commenta che «lo avevano inventato le ninfe di Delo per divertire e far giocare il giovane Apollo».
La gru, o la cicogna, proprio come l’ibis per gli Egizi, era un animale sacro a molti popoli antichi, simbolo di Thot o di Ermes. I Tessali, per esempio, consideravano un vero e proprio delitto la sua uccisione. Fin dai tempi più remoti, la gru era associata alla gestazione. È dunque lecito pensare che la danza delle gru potesse avere un qualche legame con la nascita di Apollo e Artemide.
L’altare di corna si trovava a nord, al termine di uno stretto passaggio che circondava la sala pavimentata. Si suppone che questo fosse anche il luogo dell’oracolo di Apollo, la cui esistenza a Delo è accertata. Platone racconta una storia curiosa: una volta, gli abitanti di Delo vennero a sapere dal loro oracolo che, per liberarsi da una pestilenza, avrebbero dovuto raddoppiare la grandezza dell’altare, pur conservandone la forma. Un modo, commenta Platone, per ricordare loro la geometria che stavano dimenticando.
Le statue più famose di Delo sono, probabilmente, gli stupendi leoni donati al tempio dalla ricca isola di Nasso. Queste figure maestose poggiano su oblunghi piedistalli, a guardia del luogo sacro, ormai prosciugato. Da una sorgente in cima al monte Cinto nasceva l’Inopo, un fiume che un tempo riempiva il lago, già menzionato in scritti del VI secolo a.C. Fiume e lago si prosciugarono però definitivamente nel 1925. Secondo le fonti, il lago era il vero luogo di nascita dei gemelli divini. Al suo centro, una palma era l’albero a cui Leto si aggrappò durante le doglie, nel momento in cui diede alla luce Apollo e Artemide. Plutarco ricorda che nel 417 a.C., una grande palma di bronzo dominava l’ingresso del santuario di Apollo.
A sud del recinto del santuario, si trova una serie di piccole strutture, le tombe delle vergini Iperboree, un ‘popolo misterioso che sta al di là del vento del nord’. Secondo Erodoto, giunsero a Delo per aiutare Leto a partorire i suoi due figli divini e vi rimasero come sacerdotesse. Per un certo periodo, i devoti salivano i gradini che portavano a queste tombe per offrire ciocche di capelli e altri sacrifici, in un rito che oggi possiamo solo immaginare.
I riferimenti agli Iperborei sono sparsi in tutta la letteratura greca. Si pensa che il ‘tempio alato degli Iperborei’, citato da Erodoto, si trovi a Callanish in Scozia. Ma c’è di più: il nome stesso, in macedone e in altre lingue nordiche, significa ‘coloro che portano oltre’, suggerendo un legame con mondi lontani e sconosciuti.
Delo è ricca di altari dedicati a diverse divinità. Dioniso, ad esempio, è presente sia nella Casa dei Delfini (il delfino è uno dei suoi simboli) che nella Casa delle Maschere. Nelle abitazioni private si possono ancora ammirare mosaici stupendi. Uno ritrae Dioniso seduto a cavallo di una pantera, con un tamburello in una mano e il tirso nell’altra (un bastone con una pigna in cima, ornato da spirali di foglie d’edera). Un altro, invece, riproduce deliziosi delfini che saltano fuori dall’acqua. Tutti questi reperti, risalenti ai periodi ellenistico e romano, si trovano nell’area denominata il Quartiere del Teatro.
Nel tentativo di diminuire l’importanza di Rodi, attorno al II secolo a.C., i Romani dichiararono Delo porto franco. Questa decisione attirò mercanti, commercianti e viaggiatori da ogni parte del mondo, in particolare da Fenicia, Palestina, Egitto, Siria e Italia. Molti portarono con sé le loro religioni, le cui tracce sono visibili ancora oggi.
Tra i resti più importanti, troviamo i ruderi del tempio di Iside. Secondo Erodoto, i Greci identificavano questa dea egizia con Demetra, poiché era stata Iside a insegnare agli Egizi l’uso del grano e dell’orzo. Le colonne del suo tempio sono ancora in piedi sul versante occidentale del monte Cinto, dove si trova anche una statua senza testa della dea, che Plutarco cita così: ‘Io sono tutto quel che è stato, è o sarà; nessun mortale ha mai alzato il mio velo.’ Iside, simbolo di tutte le dee (Demetra, Artemide, Cibele, Persefone), e i suoi misteri divennero un culto vitale durante i periodi ellenistico e romano, arrivando a rivaleggiare con l’ascesa del cristianesimo. Nonostante i Greci non amassero l’intrusione di divinità straniere, il culto di Iside fu assorbito attorno al IV secolo a.C., tanto che un tempio in suo onore venne eretto ai piedi dell’acropoli.
In quanto dea della terra e dei suoi frutti, del mare, del mondo sotterraneo, dell’amore, della medicina, della luna e della magia, Iside aveva qualcosa da offrire a chiunque. Per questo i suoi fedeli, attraverso i misteri del culto, potevano ricevere il grande dono dell’immortalità. In quanto madre di Horo, il dio sole, era vista dai Greci come un parallelo del dio Apollo, per cui un tempio in suo onore a Delo era particolarmente appropriato. Secondo L’Enciclopedia della religione e dell’etica, nel tempio di Iside si celebravano due funzioni giornaliere: la prima all’alba, quando il sacerdote svegliava la dea ed eseguiva alcuni riti sacri, e la seconda nel pomeriggio. In quest’ultimo rito, il sacerdote sollevava un vaso d’acqua consacrata, che i fedeli veneravano come il principio di tutte le cose.
La storia di Delo nei periodi post-cristiani assomiglia a quella di molti altri luoghi del Mediterraneo. Quando l’influenza romana declinò, l’isola fu presa d’assalto da invasori e pirati, che la saccheggiarono e la devastarono a tal punto da non lasciare più nulla da prendere. Dall’VIII secolo, l’isola divenne silenziosa e deserta, e così è rimasta fino a oggi, se si escludono gli archeologi e i pochi visitatori. Ma per chi cerca la magia, gli antichi dèi non sono mai lontani. Salire sul monte Cinto in una notte di luna piena significa andare oltre il tempo, e ritrovarsi, per un attimo, in loro presenza.
E così, tra le rovine di templi dimenticati e le pietre consumate dal sole, Delo continua a custodire i suoi segreti. Ogni passo tra le vestigia di un passato glorioso è un viaggio non solo nella storia, ma anche nel cuore del mito. Qui, dove il tempo si è fermato e il vento trasporta ancora gli echi di antichi rituali e danze sacre, la magia non è un semplice racconto, ma una presenza silenziosa e potente che attende solo di essere avvertita. Delo ci ricorda che ci sono luoghi in cui la realtà e la leggenda si fondono, e che a volte, per ritrovare l’incanto, basta solo imparare a guardare al di là di ciò che i nostri occhi possono vedere. È ora di ripartire, prendiamo il traghetto e torniamo sulla terraferma.
Lettori del mistero e dell’ignoto oggi porto una breve riflessione sul significato della musica nelle nostre vite. La musica è qualcosa di profondamente umano, nessuna macchina e nessuna intelligenza artificiale avranno mai gli strumenti e la sensibilità per comprenderla appieno.
Nel mondo dei codici e degli algoritmi, la musica è un concetto, un’equazione. Ma se la vita è un romanzo, la musica è la colonna sonora. E se la musica svanisse all’improvviso, che tipo di storia ci rimarrebbe da raccontare? Un orrore muto, senza suspense, o un mistero che ha perso il suo ritmo.
Per noi che abitiamo le pagine di questo blog, l’horror e il mistero sono fatti di suoni. Il cigolio di una porta, un ululato lontano nel bosco, il battito accelerato di un cuore. Tutti questi elementi sono parte di un’orchestra di terrore. Cosa accadrebbe se questo suono svanisse, se il sipario calasse su ogni nota?
Senza la musica, non avremmo le colonne sonore che ci fanno saltare dalla sedia o i brani che creano l’atmosfera perfetta per una lettura notturna. Non esisterebbero più le ninne nanne per cullare i bambini, né gli inni che uniscono i popoli. La musica, come la letteratura, è un linguaggio universale che trascende ogni barriera e ci permette di comunicare emozioni complesse.
Per riflettere su cosa perderemmo, pensiamo a due esempi che, pur così diversi, dimostrano il potere universale della musica.
Questo brano non è solo una canzone. È un’esperienza. Con una profonda malinconia e una speranza sottile, Jeff Buckley ci guida in un mondo interiore. La sua voce e la sua chitarra ci raccontano una storia di dolore e bellezza, dimostrando come una singola canzone possa toccare le corde più intime dell’anima.
Un capolavoro che sfida ogni genere, unendo opera, rock e ballata in un unico brano. La sua complessità e drammaticità dimostrano come la musica possa essere un’arte totale, capace di creare mondi sonori e narrazioni epiche.
La nostra vita senza musica sarebbe la stessa, ma il mondo sarebbe un luogo molto più povero. Un’esistenza priva di armonia, ritmo ed emozione, un racconto senza la sua colonna sonora. E un mondo del genere sarebbe, a suo modo, il più grande degli orrori.
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