Oggi per l’appuntamento con gli inviti alla lettura riprendiamo in mano un classico della letteratura inglese.
John Dryden, autore del diciassettesimo
secolo disse riferito a questa raccolta del quattordicesimo secolo
“Qui c’è dio in abbondanza”.
Oggi parliamo di un’opera di cui da noi si parla troppo poco: I racconti di Canterbury. A scuola hai studiato di sicuro il
Decamerone, e proprio dall’opera di Boccaccio gli inglesi si sono ispirati per trarre il loro equivalente: una raccolta di racconti che Geoffrey Chaucer iniziò a scrivere
nel 1386.
L’originale di questo lungo poema è
scritto in inglese medio, una variante vintage di seicento anni fa che
mescola l’anglo-sassone germanico al francese.
Oggi è abitudine leggere la traduzione
moderna di una versione semplificata dell’opera. Per affrontare la lettura
dell’originale ci vogliono pazienza e conoscenze di linguistica
inglese antica (gli appassionati troveranno affascinanti i dettagli
riguardo i cambiamenti nella lingua inglese dell’epoca). Per quanto riguarda la versione moderna la versione più gettonata in lingua originale
è quella di Coghill che ha mantenuto molti dei dittici in rima, ma
anche in italiano si trovano delle ottime versioni.
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| Immagine dal racconto del parroco |
La premessa narrativa vede ventinove
uomini e donne che raggiungono il narratore presso il Tabard Inn a
Southwark, che si trovava appena superato il fiume Tamigi da Londra
(oggi è una parte di Londra: Southwark duecento anni dopo questa
raccolta è diventato sito del Globe Theater di Shakespeare). Si
tratta di un gruppo di pellegrini diretti al santuario del martire
Tommaso Becket a Canterbury. La primavera ha reso il viaggio non solo
possibile ma piacevole e i pellegrini decidono di fermarsi alla
locanda collocata circa sessanta miglia a nord est dalla cattedrale.
I viaggiatori del quattordicesimo secolo affrontano il viaggio di tre
giorni a dorso
di cavallo. Per trovare ristoro dal lungo viaggio l’oste Harry Bally
suggerisce di raccontarsi delle storie, due all’andata e due al
ritorno dal pellegrinaggio. Il miglior cantastorie riceverà un pasto
omaggio. Su un totale di 120 storie Chaucer completò i racconti di
ventitré personaggi, lasciando la sua opera incompiuta.
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| Immagine dal racconto dello spenditore |
Chaucher, artista consumato con le
parole ci da uno schizzo in miniatura di ogni ospite. Personaggi
ecclesiastici come il monaco, un frate, il parroco di campagna, una
priora e tre suore, un convocatore del tribunale ecclesiastico e un
“indulgenziere” ( l’indulgenziere è una figura che accompagna il
convocatore) si uniscono a figure secolari di ogni sorta come un
cavaliere con suo figlio che gli fa da scudiero, un mercante, un
marinaio, un contadino, una sarta (l’unica donna non suora in
viaggio) e un avvocato. L’autore ritrae una sezione trasversale dell’umanità
dell’epoca. Le storie raccontate dai personaggi di volta in volta variano tono e linguaggio, dal narrato semplice
ai giochi di parole e la combinazione espressiva costruisce un panorama
vario e complesso che l’autore usa per prendersi gioco della società
del suo tempo.
Troviamo quindi corruzione, superficialità, egoismo e
lussuria ritratte in modo satirico ma mai banale.
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| Immagine dal racconto del marinaio |
Le storie si possono leggere così come
Chaucer le ha scritte o possiamo scegliere quelle che ci piacciono di
più. Se siete in uno stato meditativo potete andare direttamente
alla prosa del sermone di Parson sui sette peccati capitali, ma se
così non fosse potete leggervi il racconto del cavaliere sulla
rivalità di Paparmon e Arcite per l’amore della bella Emily, o la
divertente fiaba animale raccontata da una suora dove Chanticleer,
un gallo che possedeva dita dei piedi azzurre con unghie lilla riceve
consiglio da Pertelote, la più avvenente nel suo harem di galline,
sulla cura per i brutti sogni prendendo un lassativo.
Il film più famoso che bisogna citare
quando si parla dei racconti di Canterbury è quello di Pier Paolo
Pasolini del 1972 dove il grande regista inscena alcune tra le
novelle più conosciute.
Ma Hollywood deve ancora depredare
alcune divertenti parti dell’opera come il racconto di Reeve dove al
scendere dell’oscurità ci sono un sacco di cambi di letto, più o
meno accidentali; o lo scabroso racconto di Miller che racconta di
flatulenza e di pochi secondi di accidentale sesso orale (la decenza
proibisce di menzionare il ruolo di un attrezzo agricolo rovente ).
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| Immagine dal racconto di Reeve |
Noi lettori ridiamo e ci immaginiamo
come le suore del gruppo possano avere reagito a tali racconti e
l’invito è sempre quello di rileggere i grandi classici perché
possono sempre riservare divertenti sorprese.
Buona lettura e alla prossima.
Alice Tonini





